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Arrestato Vincenzo Di Lauro, figlio del boss di Secondigliano e Scampia

Nella maxi operazione anticamorra che ha portato a 27 arresti questa mattina, arrestato anche Vincenzo Di Lauro, “F2”, figlio del boss Paolo.
A cura di Giuseppe Cozzolino
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Vincenzo Di Lauro in un precedente arresto
Vincenzo Di Lauro in un precedente arresto

Nella vasta operazione dei carabinieri di stamattina che ha portato a 27 arresti, sono scattate le manette anche per Vincenzo Di Lauro, figlio del boss Paolo, e detto F2 perché secondogenito (il primo figlio, Cosimo Di Lauro, detto F1, è morto nel carcere di Opera il 13 giugno 2002) del capoclan. Anche lui coinvolto nella maxi inchiesta che ha portato a 27 arresti questa mattina e che vede coinvolti anche il cantante neomelodico Tony Colombo e la moglie Tina Rispoli, vedova del boss Gaetano Marino, ucciso a Terracina il 23 agosto 2012 in un agguato. Vincenzo Di Lauro è stato arrestato altre volte in passato, mentre nel gennaio 2015 era stato scarcerato per fine pena.

Secondo gli inquirenti, che hanno ricostruito le attività del clan Di Lauro tra il 2017 ed il 2021, il clan di Secondigliano aveva "intrapreso" la strada della trasformazione in una vera e propria attività imprenditoriale, capace di ramificazioni ovunque, abbandonando invece le sanguinose faide per il controllo del territorio e delle piazze di spaccio. E così il clan aveva iniziato ad allungare i suoi tentacoli, ad esempio, nel mercato immobiliare attraverso ingenti investimenti nel settore delle aste giudiziarie immobiliari, ricorrendo tuttavia a metodi camorristici veri e propri, come le minacce ad altri partecipanti per costringerli a non presentare offerte per gli immobili, che venivano così "fatti aggiudicare" ad emissari del clan e la cui rivendita avrebbe permesso di finanziare e rinforzare economicamente il clan in maniera costante.

Clan che, attraverso società fittizie intestate a terzi, secondo gli inquirenti gestiva anche una nota palestra, una sala scommesse e alcuni supermercati, oltre al settore del contrabbando di sigarette, che si basava sia sull'importazione di tabacchi dall'Europa Orientale (in particolare Bulgaria ed Ucraina), per poi rivenderli sul territorio italiano, sia alla fabbricazione in loco. In quest'ultimo caso, oltre al clan avrebbero partecipato al finanziamento di una "fabbrica di contrabbando" anche gli stessi Tony Colombo e Tina Rispoli, coinvolti anche nella creazione di un brand d'abbigliamento denominato "Corleone" e nella realizzazione di una bevanda energetica denominata "9 mm". Due brand, spiegano le forze dell'ordine "evocativi e quasi ammiccanti al mondo della criminalità organizzata".

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