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Omicidio di Sofia Castelli a Cologno Monzese

Se l’assassino di Sofia Castelli definisce l’omicidio “un disagio” non ha capito nulla di quello che ha fatto

Durante il processo per l’omicidio di Sofia Castelli, l’imputato reo confesso Zakaria Atquaoi ha chiesto “scusa a tutti quelli a cui ho reso disagio”. Come può un assassino definire l’omicidio che ha commesso “un disagio”?
A cura di Margherita Carlini
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"Chiedo scusa a tutti quelli a cui ho reso disagio", con queste parole nel corso delle spontanee dichiarazioni che ha voluto rilasciare in sede di udienza, Zakaria Atquaoi ha definito il femminicidio della sua ex fidanzata Sofia Castelli. In una circostanza che sarebbe dovuta servire per mostrare il proprio pentimento per quello che ha fatto e per le conseguenze che le sue azioni hanno prodotto, Zakaria ci offre invece la prospettiva di chi ha deumanizzato la propria partner, negando il valore di quella identità. La narrazione perfetta di quello che è il significato di un femminicidio per chi lo compie. Con una parola Zakaria ci fornisce la rappresentazione di ciò che per lui era Sofia: una proprietà. Non solo non mostrandosi realmente pentito, ma anzi continuando ad avvalorare quell'insieme di credenze e valori (di tipo personale, sociale e culturale) che incoraggiano modelli patriarcali di predominio maschile e che in qualche modo giustificano la violenza fisica, le intimidazioni, le persecuzioni fino anche all’omicidio, come forme per rimarcare quel senso di predominio.

Sofia non è morta per sbaglio, ma è stata brutalmente uccisa dal suo ex partner, che ha scelto in maniera lucida e premeditata di privarla della vita piuttosto che vederla insieme ad un altro, piuttosto che riconoscerle il diritto di scegliere autonomamente della sua esistenza. Nel femminicidio di Sofia, come negli altri casi, siamo di fronte ai così detti delitti legati al senso di proprietà, senso che viene vissuto e legittimato dai maltrattanti che vogliono decidere per le loro partner o ex, vogliono controllarle, fino ad arrivare alla decisione di voler disporre delle loro vite. In questi casi la relazione è condizionata da un desiderio di controllo esclusivo del maltrattante nei confronti della partner, una gelosia ossessiva che permane anche dopo la fine della relazione.

Sebbene Aurora, l’amica di Sofia, che era in casa con lei la notte in cui Zakaria l’ha uccisa, abbia dichiarato che "questa non è una storia come le altre, Sofia era una ragazza forte e Zakaria non era un violento, eppure l'ha uccisa", l’analisi delle dinamiche di relazione tra Sofia e Zakaria e i comportamenti posti in essere da questo ultimo ci portano ad evidenziare una serie di fattori specifici che spesso sono strettamente correlati con il rischio di letalità. Il più significativo in questa relazione è proprio quello della gelosia possessiva, che Zakaria aveva palesato in più occasioni e che si era concretizzata in una serie di condotte persecutorie poste in essere dallo stesso. Sono infatti le stesse amiche a raccontare, anche in base a quello che la ragazza confidava loro, che Zakaria, dopo la fine della relazione, si era presentato diverse volte sotto casa di Sofia o nei luoghi che frequentava.

Nel tentativo di limitare quel controllo serrato, Sofia era arrivata a bloccarlo sul suo cellulare, ma Zakaria riusciva ugualmente a "intercettarla", forse pedinandola o studiando le Instagram Stories della sua rete di amicizie. Pochi giorni prima dell'omicidio era arrivato a convincerla a farlo entrare a casa con la scusa di mangiare un pezzo di torta insieme e in quell'occasione si sarebbe impossessato di nascosto di un mazzo di chiavi di casa della ragazza, le stesse che ha usato la notte dell’omicidio per introdursi nell’abitazione. Zakaria, quella stessa sera, avrebbe anche aggredito un ragazzo nella convinzione che Sofia avesse una nuova relazione. Un'escalation di controllo e violenza che ha portato al femminicidio di Sofia.

Con le sue parole Zakaria oggi ci ricorda che il problema della violenza maschile contro le donne ha radici profonde, che condizionano il nostro essere nelle relazioni (come uomini e come donne), e legittimano quel senso di possesso che troppo spesso porta all’uccisione di una donna quando questa decide di emanciparsi da una relazione maltrattante. Ecco che anche in questo caso il femminicidio viene rappresentato, da chi lo ha commesso, come il gesto di un ragazzo che non è riuscito a sopportare il peso della separazione per troppa gelosia. Nell'ennesimo tentativo di minimizzazione delle proprie condotte e di negazione del valore che la vita di Sofia aveva.

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Sono Psicologa Clinica, Psicoterapeuta e Criminologa Forense. Esperta di Psicologia Giuridica, Investigativa e Criminale. Esperta in violenza di genere, valutazione del rischio di recidiva e di escalation dei comportamenti maltrattanti e persecutori e di strutturazione di piani di protezione. Formatrice a livello nazionale.
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