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Muore a 40 anni per un intervento sbagliato dopo un aborto spontaneo: condannati i due ginecologi

Una donna di 40 anni è morta durante un intervento di raschiamento dell’utero, necessario dopo un aborto spontaneo. Due ginecologi sono stati condannati a nove mesi con l’accusa di omicidio colposo per “negligenza e imperizia”.
A cura di Enrico Spaccini
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L'istituto clinico Humanitas di Rozzano
L'istituto clinico Humanitas di Rozzano

Emanuela Postacchini aveva 40 anni quando perse il bambino che portava in grembo. Impiegata in banca, aveva già una figlia di 4 anni, ma tra la settima e l'ottava settimana di gravidanza ebbe un aborto spontaneo. Per questo motivo, dovette sottoporsi a un intervento di raschiamento dell'utero che, però, si rivelò fatale. A cinque anni dalla sua morte, sono arrivate le condanne in primo grado per i ginecologi accusati di omicidio colposo: nove mesi di carcere, con pena sospesa.

Avrebbe dovuto essere un intervento di routine

L'intervento di revisione della cavità uterina avrebbe dovuto essere di routine all'Humanitas. Quel giorno di aprile di cinque anni fa Postacchini si presentò all'ospedale con il suo compagno. La situazione in sala operatoria, però, precipitò all'improvviso. La 40enne morì dissanguata a causa della perforazione dell'utero. Una complicazione rara che avrebbe richiesto l'asportazione dell'utero.

Per i ginecologi Paolo Levi e Laura Sacchi il pm Mauro Clerici aveva chiesto la condanna a un anno di carcere per omicidio colposo. La giudice Maria Idria Gurgo di Castelmenardo ha deciso, in primo grado, per nove mesi con pena sospesa perché li ha ritenuti colpevoli della morte di Postacchini causata da "negligenza e imperizia".

La risposta dell'Humanitas

"Esprimiamo nuovamente la nostra vicinanza alla famiglia, colpita così duramente, e manteniamo piena fiducia nei nostri professionisti", ha fatto sapere la direzione dell'Humanitas che afferma di aver preso atto della sentenza di primo grado e di attendere "di leggere le motivazioni che hanno condotto il giudice a questa decisione". Una terza dottoressa aveva già patteggiato una condanna.

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