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Insultò gli agenti che chiedevano il Green Pass: assolto perché “percepì un’ingiusta prevaricazione”

È stato assolto l’uomo che nel 2021, durante la pandemia da Covid-19, aveva insultato gli agenti di polizia che gli avevano chiesto di mostrare il green pass che serviva per spostarsi sui mezzi di trasporto a lunga percorrenza. Per il tribunale, il fatto non costituisce reato.
A cura di Ilaria Quattrone
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Immagine di repertorio
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"Non servite a niente… fate perdere il treno alla gente… siete dei pezzi di m…": è questo quanto alcuni agenti della polizia ferroviaria avevano raccontato denunciando un uomo di quarant'anni per resistenza a pubblica ufficiale a Milano.

Il quarantenne è stato assolto dal Tribunale di Milano perché, come ha spiegato il quotidiano Il Corriere della Sera, il fatto non costituisce reato: per il giudice avrebbe reagito così perché avrebbe avuto la percezione che gli agenti avrebbero avuto un atteggiamento prevaricatore nei suoi confronti.

La dinamica

I fatti risalgono al 17 gennaio 2021: intorno alle 6.50, durante le procedure di controllo dei green pass, un uomo si è innervosito proprio a causa delle lunghe file causate da questa attività. Ha iniziato a lamentare di star per perdere il treno per Perugia tanto da fomentare le persone presenti contro i poliziotti. Secondo gli agenti, alla richiesta di documenti, l'uomo avrebbe poi dato in escandescenze e avrebbe insultato i poliziotti che avevano deciso poi di trascinarlo fuori.

L'avvocata Claudia Invernizzi, che difende proprio il quarantenne, ha invece sostenuto in aula che il suo cliente aveva chiesto con educazione se potesse uscire dalla fila proprio per prendere il treno. Ha specificato che un poliziotto avrebbe mimato un saluto fascista e un altro lo avrebbe intimorito alzando un manganello. Gli investigatori lo avrebbero poi trascinato fuori dalla fila con forza e da qui sarebbero poi scaturiti gli insulti dell'uomo agli agenti. Da quell'attività, il quarantenne avrebbe riportato anche alcuni traumi e problemi all'anca, al ginocchio e al braccio.

La giudice, dopo aver ascoltato entrambi le versioni, ha stabilito che la versione di uno dei poliziotti "sconta più di un dubbio in tema di piena attendibilità". Ha poi definito poco verosimile il racconto dell'agente sul "tentativo di fuga dell’uomo, incensurato che nulla aveva da temere dalla polizia e che peraltro era gravato da bagagli che certo avrebbero reso la fuga decisamente breve".

Ha quindi sostenuto che la reazione dell'uomo sia arrivato dal fatto che le richieste "degli agenti di esibire i documenti e la loro successiva decisione di condurre l’uomo negli uffici, peraltro trascinandolo, possano essere state vissute da costui come una ingiusta prevaricazione".

E per questo motivo "devono ritenersi scriminate (quantomeno a livello putativo) le sue successive ben più gravi e certamente oltraggiose offese agli agenti (“siete pezzi di m…”)".

La decisione della giudice

La giudice quindi ritiene veritiere le offese dell'uomo, ma sostiene che queste siano arrivate perché il quarantenne avrebbe vissuto l'intervento della polizia come ingiusto. Una sensazione sulla quale avrebbe gravato anche la sproporzione fisica tra l'uomo e i quattro agenti che lo hanno trascinato via. Questo avrebbe infatti "rafforzato in lui il convincimento di essere vittima di un atto arbitrario o ingiustamente persecutorio".

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