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Voghera, l'assessore leghista Massimo Adriatici spara e uccide un uomo

Il caso di Massimo Adriatici, l’ex assessore leghista che sparò un 39enne: a che punto sono le indagini

Massimo Adriatici è l’ex assessore leghista alla Sicurezza del comune di Voghera (Pavia) che ha sparato e ucciso un 39enne: in primavera, come rivelato a Fanpage.it, potrebbero chiudersi le indagini.
A cura di Ilaria Quattrone
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Youns El Boussettauoi aveva 39 anni. Il 20 luglio scorso l'ex assessore alla Sicurezza del comune di Voghera (Pavia) , Massimo Adriatici, lo ha ucciso con un colpo di pistola. Youns non è morto sul colpo, ma è deceduto in ospedale. Da questa tragedia non è nata solo una vicenda giudiziaria. Dal piano giuridico ci si è spostati immediatamente a quello politico: nei giorni a seguire si è fatta viva la discussione sull'uso e la detenzione di armi. L'esponente leghista era soprannominato da alcuni cittadini "Lo Sceriffo". Un appellativo che arrivava per i metodi utilizzati per "controllare" la città e assicurare la sicurezza delle vie. Avvocato ed ex poliziotto, Adriatici aveva un regolare porto d'armi per difesa personale.

Chi era Youns El Boussettaoui

Polemiche o meno, fin dall'inizio è stato trascurato il piano umano: Youns ha lasciato una moglie e due figli di otto e cinque anni. I tre, al momento della morte dell'uomo, si trovavano in Marocco. Il 39enne aveva in Italia alcuni parenti: il padre e i fratelli vivevano a Varcelli e per diverso tempo hanno cercato di aiutare e assistere l'uomo. Youns soffriva di problemi psichici, aveva ricevuto un Tso, ed era scappato da una clinica perché voleva tornare a Voghera che considerava casa sua. In quel comune era stato seguito dai servizi sociali, per poi essere abbandonato. In molti hanno affermato che "non fosse una persona pericolosa".

Cosa è accaduto quella sera

Subito dopo la morte del 39enne alcuni cittadini hanno raccontato come l'uomo fosse spesso ubriaco e importunasse gli avventori di alcuni bar. Un atteggiamento che sembrerebbe aver avuto anche quella tragica sera. Conoscendolo per questi suoi modi (a un certo punto durante le indagini è stata avanzata anche l'ipotesi che l'ex assessore avesse pedinato il 39enne), una volta visto quanto accaduto Adriatici avrebbe – come da lui raccontato – chiamato la polizia. Una decisione che avrebbe fatto scattare – sempre a detta dell'ex assessore – il 39enne. Quello che è certo, come mostrato da un video ripreso dalle telecamere di videosorveglianza della zona, è che tra i due è nata una discussione. Youns ha sferrato un pugno ad Adriatici che è poi caduto. Da lì è partito un colpo che ha raggiunto l'uomo in pieno petto. Le immagini però sono piuttosto confuse: non si vede mai il momento dello sparo.

I punti oscuri

Per le parti resta quindi da capire se l'avvocato ha sparato a terra o una volta alzatosi. Uno dei testimoni, ascoltato durante l'incidente probatorio, ha affermato che Adriatici ha sparato mentre si trovava a terra: "Quando era a terra, ha estratto la pistola e, puntando verso la vittima, ha aperto il fuoco". Un'altra, una ragazza di 21 anni, ha specificato che l'ex assessore ha sparato mentre si stava rialzando. Fin da principio Adriatici avrebbe detto che il colpo sarebbe partito accidentalmente. Uno dei punti oscuri di questa vicenda è anche il fatto che, subito dopo l'arrivo dei carabinieri e con Youns ancora agonizzante a terra, l'ex assessore sarebbe stato lasciato senza manette a vagare avanti e indietro lungo la scena del crimine con la possibilità – come spiegato dai legali dei famigliari di Youns Debora Piazza e Marco Romagnoli – di "poter modificare liberamente gli elementi utili alla ricostruzione delle indagini". Inoltre avrebbe influenzato il ricordo di un testimone oculare affermando: "L'importante è quello che hai visto che stava dandomi un calcio in testa".

I proiettili usati da Adriatici

Subito dopo la tragica morte di Youns, l'ex assessore è stato posto agli arresti domiciliari con l'accusa di eccesso colposo di legittima difesa. Un capo di imputazione che ha lasciato molti basiti. Tra questi i legali della famiglia di Youns che fin dai primi momenti hanno sostenuto come l'ex assessore dovesse essere indagato per omicidio volontario. Ad aggravare la posizione di Adriatici è il fatto che girasse con una pistola carica e che il 39enne fosse disarmato. Durante le indagini, l'attenzione si è infatti focalizzata sui proiettili con i quali la pistola di Adriatici è stata caricata: "Le pallottole erano a punta cava, conosciute con il nome hollow point, che sono vietate dalla legge per l'utilizzo in difesa personale – ha spiegato l'avvocato Romagnoli a Fanpage.it -. Si possono usare per il tiro al bersaglio, ma non per legittima difesa perché hanno una potenzialità mortale troppo accentuata". Il legale ha poi spiegato che, avendo una pistola caricata con questi tipo di proiettili, si configura il reato di porto di munizionamento abusivo che è un reato di pericolo: "Non c'è bisogno che si provochi un danno. Nel momento in cui giri con una pistola con quei proiettili dentro, anche se non si spara alcun colpo, il reato è già commesso perché si ha un munizionamento vietato per difesa personale, ma che si porta per difesa personale". Una tesi però smentita dagli avvocati di Adriatici che invece sostengono che i proiettili non fossero espansivi. 

In base a quanto spiegato dai legali dei parenti di Youns, la Procura ha ammesso che le munizioni erano espansive e ha verificato se i proiettili si siano espansi: "Dà incarico ai Ris di verificate. Le pallottole di Adriatici non si sono espanse, ma si sono deformate per motivi che non si è riusciti a ricostruire. Sono infatti uscite a una velocità inferiore a quella prevista e per questo non si sono espanse. I Ris hanno infatti utilizzato le stesse pallottole, sparandole contro l'acqua, e queste si sono espanse. Ma sono le stesse utilizzate da Adriatici". Per i due avvocati, Adriatici sapeva di avere con sé delle munizioni altamente lesive.

L'autopsia svolta senza i legali e i parenti presenti

Altro punto oscuro è quello relativo all'autopsia: qui, gli avvocati dei famigliari della vittima, hanno raccontato che né loro né i parenti sono stati avvisati. La legge invece prevede che vengano allertati: "Si è svolta in maniera veloce dalla Procura – avevano raccontato a Fanpage.it – senza avvisare le persone offese perché, a detta dei carabinieri, pensavano non ci fossero parenti da avvisare sul territorio nazionale". In realtà il padre e i fratelli vivono a Vercelli e nessuno è stato avvisato della sua morte. Questo ha impedito ai legali di poter partecipare all'esame con i propri consulenti.

Le indagini potrebbero essere chiuse in primavera

A ottobre scorso, la misura degli arresti domiciliari è scaduta e Adriatici è tornato in libertà. Già prima della scadenza, Adriatici aveva ripreso la sua attività di avvocato. Le indagini comunque proseguono e, come spiegato a Fanpage.it dagli avvocati della famiglia di Youns Debora Piazza e Marco Romagnoli, potrebbero essere chiuse in primavera dopodiché bisognerà aspettare che il pubblico ministero formuli al giudice la propria richiesta.

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