3.478 CONDIVISIONI
video suggerito
video suggerito
Covid 19

Hamala, licenziato al Don Gnocchi per aver denunciato i contagi: “Sono senza lavoro, ma lo rifarei”

“Ci hanno punito per avere detto la verità. Ma io denuncerei ancora, anche sapendo le conseguenze, anche adesso”. Hamala Diop, 25 anni, ex operatore sanitario all’Istituto Palazzolo della Fondazione Don Gnocchi, è stato licenziato dopo aver denunciato, insieme ad altri colleghi, presunte irregolarità nella gestione dell’emergenza coronavirus all’interno della struttura. Intervistato da Fanpage.it, spiega cosa lo ha spinto ad andare in Procura e conferma: “Anche se ora sono disoccupato, tornando indietro farei la stessa cosa”.
A cura di Simone Gorla
3.478 CONDIVISIONI
Immagine
Attiva le notifiche per ricevere gli aggiornamenti su

"Ci hanno mentito, assicurato che eravamo al sicuro, vietato di usare le mascherine. Poi ci hanno punito per avere detto la verità. Ma io denuncerei ancora, anche sapendo le conseguenze, anche adesso". Hamala Diop, 25 anni, è cresciuto a Milano e vive a Cormano. Per tre anni ha lavorato come operatore socio sanitario all'interno dell'Istituto Palazzolo della Fondazione Don Gnocchi di Milano. Fino a quando con altri colleghi ha denunciato la struttura per la diffusione del coronavirus tra ospiti e operatori, facendo partire le indagini della Procura di Milano. Così la cooperativa Ampast lo ha licenziato.

Anche gli altri lavoratori che hanno firmato la denuncia sono stati dichiarati "non graditi" dalla Fondazione, allontanati e trasferiti in altre sedi. Ora Hamala, difeso dagli avvocati Romolo Reboa, Gabriele Germano e Roberta Verginelli, si è appellato alla normativa sui whistleblower e ha fatto causa per chiedere l’annullamento del licenziamento.

Quando avete iniziato a pensare che qualcosa non andava all'interno della struttura?

Per me è iniziato tutto con una riunione alla fine di febbraio. Un dirigente ci ha assicurato che l'Istituto Palazzolo era sicuro, ci ha detto che potevamo stare tranquilli e che, per non spaventare l'utenza, era meglio non mettere le mascherine. Ricordo che alcuni colleghi avevano i dispostivi e sono stati invitati a toglierli per non farsi vedere. In caso contrario avrebbero preso una lettera di richiamo. Noi ci siamo fidati e abbiamo fatto quello che ci hanno detto.

Quando avete saputo che il virus era arrivato anche tra voi?

Un paio di settimane più tardi. Il 14 marzo ci è stato comunicato che eravamo entrati in contatto con una persona infetta. Il contatto era avvenuto prima del 10 marzo.

È stato uno choc?

No affatto, noi già lo sospettavamo. Un collega era stato ricoverato in ospedale con sintomi, poi è venuto è venuto fuori che aveva il coronavirus. Poco dopo anche io non mi sono sentito bene: avevo dolori i tutto il corpo, giramenti di testa, mi bruciavano gli occhi. Mi sono messo in malattia e mi hanno invitato a fare il tampone, che è risultato positivo. Intanto anche altri colleghi avevano gli stessi sintomi, così abbiamo capito che l'avevamo preso tutti. A quel punto abbiamo deciso di denunciare.

Cosa vi ha spinti ad andare in Procura?

Il fatto che ci avevano mentito. Ci avevano detto che eravamo al sicuro, questo ci ha fatto veramente arrabbiare. Eravamo in 18, dopo la denuncia ci hanno sospesi. In seguito io sono stato licenziato, altre quattro persone che lavoravano a partita Iva sono state allontanate. Ma anche gli altri non se la stanno passando bene. Li hanno trasferiti a lavorare lontano da casa, tra Como e Varese.

Perché lei è stato licenziato?

Hanno detto che ero comparso su testate giornalistiche e avevo divulgato la denuncia. Io ho risposto che non è vero, e comunque cercare di impedirmi di parlare con i giornali è grave e assurdo. Io so che ho ragione, so che non sto mentendo e non intendo tirarmi indietro.

Come si svolge la sua vita in attesa dell'esito della causa contro il licenziamento?

Adesso sono disoccupato, sono a casa dal 6 maggio. Ho mandato il curriculum a qualche azienda, cerco in qualsiasi ambito, intanto vedo come si mette la mia situazione. Ho il finanziamento della macchina e altre spese, devo trovare un modo di guadagnarmi da vivere. La disoccupazione non l'ho vista, ma spero almeno di ricevere i soldi per l'infortunio.

Si sente vittima di un'ingiustizia?

Non mi sento tutelato. Ci è stato detto che non si poteva essere licenziati durante il periodo del coronavirus. Io non ho mai preso richiami, il mio lavoro l'ho sempre fatto, ero tranquillo. Invece siamo stati puniti per aver detto la verità. Noi operatori sanitari ci prendiamo sempre la responsabilità per qualsiasi cosa, mentre l'azienda non lo fa per un fatto così grave. Mi fa rabbia, non riesco ancora a mandarla giù.

Tornando indietro, conoscendo le conseguenze a cui è andato incontro, denuncerebbe ancora?

Sì. Da questa storia ho imparato che devo sempre rimanere me stesso. Denuncerei ancora, anche sapendo le conseguenze, anche adesso. Non potevo fare finta di niente, molti sono stati male. Molti ospiti sono morti, persone che vedevo tutti i giorni. Ripeto: so che sto dicendo la verità.

Tornerebbe a lavorare al Don Gnocchi se dovesse vincere la causa?

Non lo so. Forse tornerei, ma le cose dovrebbero cambiare perché i lavoratori non sono tutelati.

3.478 CONDIVISIONI
32805 contenuti su questa storia
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views