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“Guardavano il telefonino mentre il detenuto si impiccava”: agenti a processo per omicidio colposo

Il giudice per le indagini preliminari di Milano ha rinviato a giudizio, con l’accusa di omicidio colposo, due agenti della Questura di Milano per la vicenda relativa al suicidio di un detenuto in una camera di sicurezza della Questura. I due, secondo il gip, avrebbero potuto impedire l’estremo gesto se non fossero stati impegnati “a guardare il telefonino e chattare”.
A cura di Ilaria Quattrone
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Foto di repertorio
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"Avrebbero potuto intervenire in tempo e salvare l'algerino dal soffocamento": sono queste le parole utilizzate dal giudice per le indagini preliminari di Milano che ha rinviato a giudizio due agenti della questura di Milano con l'accusa di omicidio colposo e rigettato la richiesta di archiviazione della Procura. Il gip ha infatti ordinato l'imputazione coatta. La decisione si riferisce al suicidio di un detenuto, avvenuto il 23 agosto scorso, all'interno di una camera di sicurezza della Questura di Milano.

L'uomo era in attesa di essere identificato

L'uomo di 43 anni era in attesa di essere identificato. Fin dal principio aveva mostrato segni di agitazione: aveva sbattuto mani e piedi contro la porta della camera. A un certo punto avrebbe legato la maglietta alle sbarre e si sarebbe impiccato. Solo dopo un'ora e dieci minuti, così come riportato dal quotidiano "Il Corriere della Sera", i due agenti si sarebbero accorti che non respirava più. Nonostante il tempestivo intervento dei soccorsi, l'uomo è stato dichiarato morto. Da lì sono partite le indagini.

Il detenuto si era mostrato agitato

Secondo la Procura, i due agenti non sono da ritenersi responsabili perché – durante l'atto del detenuto – erano impegnati in delle pratiche burocratiche che gli impedivano la visione costante delle telecamere di video-sorveglianza. Una posizione che però non è condivisa dal gip. Innanzitutto i video della sala in cui erano i due agenti mostrano che entrambi erano spesso impegnati a guardare il proprio telefono o a chattare e se non lo avessero fatto, probabilmente sarebbero riusciti a intervenire in tempo. Secondariamente l'uomo aveva mostrato di essere agitato e questo avrebbe dovuto portare i due a mostrare maggiore attenzione.

La sottovalutazione del rischio

Il giudice riconosce che, la posizione seduta del detenuto e il colore della maglia simile a quello delle sbarre, avrebbe potuto confondere ma – dall'altro lato – se avessero prestato attenzione ai monitor lo avrebbero visto mentre legava la maglia alla sbarra. Il gip condivide poi la posizione della Procura secondo la quale in una camera di sicurezza non dovrebbero esserci sbarre orizzontali alle finestre che sono "congeniali per chi abbia intenti suicidari" così come mancano dei dispositivi in grado di segnalare comportamenti anomali e i monitor hanno schermi di medie dimensioni, suddivisi in nove quadranti, che rendono l'osservazione più faticosa. Per il giudice infine a contribuire alla sottovalutazione del rischio è stata probabilmente anche la formazione dei due: entrambi giovanissimi e alle prime armi, anche se impegnati in pratiche burocratiche, avrebbero potuto dividersi i compiti così da mantenere l'attenzione sullo schermo.

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