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Opinioni

Mario Draghi (Bce): la stagnazione proseguirà almeno altri due anni

Nonostante modesti ritocchi all’insù delle stime su crescita e inflazione in Eurolandia per quest’anno, Mario Draghi, presidente della Bce, fa capire che dalla stagnazione non si uscirà prima di altri due anni…
A cura di Luca Spoldi
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Non cadete nell’errore di fissarvi sul dito che indica la Luna: nell’odierna conferenza stampa che ha concluso la riunione della Banca centrale europea che ha lasciato i tassi ufficiali sull'euro invariati (0,00% sulle operazioni di rifinanziamento principali, allo 0,25% sulle operazioni di rifinanziamento marginale e a -0,40% sui depositi presso la banca centrale), Mario Draghi ha reso note le stime aggiornate della stessa Bce su crescita e inflazione e qualcuno ha subito sottolineato l’innalzamento, del tutto marginale, delle previsioni per l’anno in corso.

In effetti la crescita del Pil di Eurolandia è attesa adesso pari all’1,6% contro il +1,4% indicato tre mesi fa, mentre per quanto riguarda l’inflazione si passa da +0,1% a +0,2%. Ma è lo stesso Draghi a mettere le mani avanti: i rischi al ribasso restano sostanziali, essendo legati all’incerto andamento della crescita mondiale (soprattutto nei mercati emergenti) e ad un rialzo delle quotazioni petrolifere che, come conferma già stasera la reazione negativa all’ennesimo nulla di fatto in sede Opec per trovare un accordo sull’introduzione di limiti alla produzione petrolifera complessiva, resta tutto meno che solido.

Per di più il 23 giugno in Gran Bretagna si terrà il referendum sulla permanenza o uscita (“Brexit”) dall’area euro e Draghi avverte: sarebbe un errore se il Regno Unito uscisse, restando nella Ue ne beneficerebbero le economie di entrambi, un’opinione più volte espressa anche dal governatore della Banca d’Inghilterra e da molti industriali e finanzieri, ma tant’è. Così i più attenti tra gli operatori finanziari hanno subito iniziato a commentare: non si deve guardare al leggero ritocco all’insù delle previsioni per l’anno in corso, ma alla stabilità di quelle per il prossimo biennio.

Per il 2017 infatti la Bce continua a prevedere una crescita del Pil di Eurolandia dell’1,7% e un’inflazione pari all’1,3%, mentre per il 2018 si parla di una crescita dell’1,7% (dal precedente +1,8%, segno che la per nulla esuberante ripresa potrebbe tornare a frenare entro i prossimi 24-36 mesi) e di un’inflazione pari all’1,6%. Facendo due conti e sempre che l’Italia riesca ad allinearsi ai valori medi dell’area euro (cosa che non è al momento), si avrebbe una crescita nominale (ossia sommando alla variazione reale del Pil la crescita dei prezzi al consumo) dell’1,8% quest’anno, del 3% nel 2017 e del 3,3% nel 2018.

Abituati all’assenza di crescita dell’economia tricolore sarebbero già dei dati confortanti, specie se i tassi dovessero essere mantenuti sui livelli attuali ancora almeno fino a fine 2017, visto che a quel punto forse (e ribadisco forse) il rapporto debito pubblico/Pil si stabilizzerebbe e le eventuali risorse reperite tramite privatizzazioni come quelle di Poste Italiane (e nei prossimi anni di Ferrovie Italiane) piuttosto che operando una spending review intelligente che non vada a colpire “orizzontalmente” la spesa corrente, ma vada a eliminare sprechi. Operazione che richiederebbe, ovviamente, di ridefinire in modo puntuale ciò che è bene resti all’interno del perimetro pubblico e ciò che può essere lasciato al settore privato, anche (inevitabilmente) per quanto riguarda l’assistenza e la previdenza.

Se i debitori, pubblici o privati che siano, possono dunque sperare di continuare a pagare poco sui propri debiti a lunga scadenza (quelli a breve termine, almeno per lo stato italiano, sono già pressoché nulli anche in termini reali e potrebbero diventare lievemente negativi nei prossimi mesi), i creditori, in primis le banche piuttosto che i gestori di fondi pensione, dovranno rassegnarsi ad assumere una percentuale superiore di rischio in portafoglio o a continuare a vedersi erodere il capitale da tassi sui depositi e sugli impieghi a brevissimo termine.

Nel complesso il quadro dipinto oggi da Mario Draghi rappresenta un’Europa che resta incapace di tornare a crescere e ha dunque bisogno di ulteriori dosi di “droga” monetaria, tramite tassi ai minimi storici e ulteriori iniezioni di liquidità che verrà immessa nel sistema con l’avvio, dall’8 giugno, del programma di acquisto sul mercato da parte della Bce anche di bond corporate e, dal 27 giugno, di nuove operazioni di rifinanziamento a lungo termine finalizzate (Tltro) con le quali Draghi proverà a dare soldi alle banche anche a tassi nominali negativi purché queste tornino ad aumentare gli impieghi, ossia i prestiti ad aziende e famiglie.

La stagnazione, insomma, è destinata a proseguire almeno altri due anni e mezzo e questa non è certamente una bella notizia, perché conferma che la realtà non si vuole piegare ai desideri di una delle classi politiche più modeste che l’Europa (e l’Italia) si ricordino dal secondo dopoguerra ad oggi.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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