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Opinioni

Lo spread Btp-Bund torna sotto il 2%, ma i rischi restano

Solo Mario Draghi sembra resistere come bastione dell’europeismo contro il populismo sempre più dilagante in America come in Europa. Ma cosa significherebbe per l’Italia, la Francia o la Grecia un’Europa a “due velocità” o addirittura la fine dell’Unione europea e dell’euro?
A cura di Luca Spoldi
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Angela Merkel e Mario Draghi

Mario Draghi come ultimo baluardo europeista di fronte a leader populisti sempre più ringalluzziti dagli inattesi successi del referendum sulla Brexit (che non avverrà prima del 2019 al termine di due anni di negoziati che si preannunciano quanto meno spigolosi) e dell’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti (che difficilmente saranno più forti con misure che già creano divisioni all’interno come all’estero quali il bando all’ingresso di residenti di sette paesi a maggioranza musulmana).

Il presidente della Bce ha ripetuto ieri davanti al parlamento europeo di Bruxelles che l’euro, “irrevocabile”, ci “tiene uniti” in tempi di sempre maggiori chiusure nazionali. Una reazione che sociologi ed economisti provano a giustificare come inevitabile reazione da parte di opinioni pubbliche sempre più confuse in un Occidente dove per la prima volta da molti decenni, se non secoli, la nuova generazione sembra avere di fronte a se meno prospettive di quelle che l’hanno preceduta.

Una reazione che fa emergere sempre più nette le differenze tra paesi che, come la Germania, pur prendendo atto che l’Unione europea e l’euro sono ancora a metà del guado, quindi nella situazione peggiore per affrontare una piena improvvisa di populismo, ma paiono intenzionati ad andare avanti e chi, come l’Italia e la Francia, sembra sempre meno intenzionato a farla e pronta a buttarla in caciara, dando la colpa della crisi all’euro e all’Unione europea stessa, anziché alla propria incapacità di cambiare passo.

La soluzione ventilata, dalla stessa Angela Merkel, una “unione a due velocità”, riprende concetti vecchi quali la necessità di ottenere una piena mobilità dei fattori produttivi, una piena libertà degli scambi di beni e servizi, una piena libertà di movimenti dei capitali, il graduale ma non più procastinabile riallineamento  dei prezzi tra i vari paesi, la piena flessibilità dei prezzi di tutti i fattori produttivi, quindi anche dei salari (da legare alla produttività).

L’idea dui fondo sembrerebbe quella di tornare a costituire un nucleo “forte” e coeso, che possa funzionare come “stati uniti d’Europa” e non solo come un grande e burocratico condominio con infinite e poco concludenti riunioni tra 28 coinquilini riottosi. Un nucleo di cui Grecia, Italia, Spagna ma anche Francia non farebbero parte fino a quando non si dimostrassero pronte non solo a parole.

Gli stati uniti a cui si guarda sono quelli d’America, o forse si dovrebbe dire sono stati fino a poco tempo fa, perché ora anche lì l’aria è cambiata, nonostante tasse che sono le più basse in rapporto al Pil di tutto il G-7 (poco più del 25%, contro il 45% di Italia e Francia), nonostante un mercato del lavoro che più fluido non si può (nel 2016 ci sono stati 62,6 milioni di assunzioni a fronte di 60,1 milioni di dimissioni o licenziamenti, con un saldo positivo di 2,5 milioni di posti di lavoro su una forza lavoro di 150 milioni di persone) dove nessuno, al contrario che in Italia, ha mai neppure sognato il “posto fisso”.

I “nuovi” Stati Uniti d’America di Donald Trump fanno paura alla Germania, perché tra i punti che il nuovo presidente Usa ha ribadito più volte in campagna elettorale (e finora quanto ha promesso ha mantenuto, infischiandosene delle reazioni e finanche delle conseguenze) vi è la volontà di tornare a una forma di mercantilismo che comporterà un atteggiamento molto aggressivo nei confronti delle esportazioni tedesche (oltre che messicane o cinesi) in America, la deregolamentazione dei mercati finanziari con la revisione radicale della riforma Dodd-Frank voluta da Barack Obamae che scongelerà nei prossimi anni fino a 100 miliardi di dollari che le banche avrebbero dovuto tenere come riserva contro i rischi e che potranno invece essere distribuiti come dividendi o reinvestiti in nuove acquisizioni e investimenti e l’utilizzo di dichiarazioni “ad effetto” per pilotare il dollaro in alto o in basso a seconda della convenienza del momento.

Ad Angela Merkel, che pure si prepara ad una campagna elettorale ricca di dichiarazioni populiste e non altro per rintuzzare Frauke Petry, la leader di Alternative fur Deutschland, non resta altro che offrire una sponda a Mario Draghi, il quale in cambio ha già fatto sapere che le eventuali Frexit, Grexit o Italexit che siano non avverranno a costo zero. Il paese che uscirà dall’area euro dovrà infatti chiudere i saldi “Target2, ossia il debito con l’Eurosistema accumulato da ciascuna banca centrale nazionale (che nel caso della Banca d’Italia a dicembre 2016 erano pari a 356,6 miliardi), poi sarà libero di andare per la sua strada.

Si noti che una volta rimborsato questo debito, il paese uscente non godrà più dell’ombrello della Bce neppure per quanto riguarda rendimenti e spread dei propri titoli di stato, che dunque tornerebbero ad essere valutati dai mercati unicamente in base all’affidabilità percepita dell’emittente, cosa che porterebbe quasi certamente ad un incremento degli interessi da pagare sul debito stesso, con l’ipotesi a quel punto neppure più tanto remota di un default sovrano sullo stile di quanto già accaduto, ad esempio, in Argentina (e in parte in Gracia). Per questo le parole di Draghi oggi sono state un motivo di sollievo, sia pure incerto e temporaneo, col rendimento sul Btp a 10 anni ridisceso sul 2,34% (dal 2,39% di ieri) e lo spread contro Bund tedeschi (il cui rendimento pure è calato, dallo 0,38% di ieri allo 0,36% stasera) tornato sotto il 2%, all’1,96%.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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