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L’Italia dice “sì” alla Palestina nell’ONU – Come si comporta il resto d’Europa?

L’Italia sostiene ufficialmente la richiesta all’ONU dell’Autorità Nazionale Palestinese per il riconoscimento della Palestina quale stato Osservatore . Anche Francia e Spagna sono d’accordo. Il Regno Unito pone condizioni “irricevibili”, la Germania verso l’astensione.
A cura di Anna Coluccino
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Oltre che in materia di politica economica (sia interna che estera), l'Europa si mostra divisa anche sul piano della politica estera. Molto diverse, infatti, le posizioni dei vari stati chiamati al voto che – tra poche ore – decreterà l‘entrata o meno dello Stato di Palestina all'interno delle Nazioni Unite. La decisione cade, non a caso, proprio nella giornata internazionale di Solidarietà con il Popolo Palestinese ma non si connota affatto come un mero passaggio formale. Si tratta di una scelta che implica diverse conseguenze. Ed è proprio a causa di una possibile reazione a catena che non tutti gli stati europei sembrano disposti ad assumersi le precise e necessarie responsabilità che fanno seguito a un "Sì". L'Italia – stavolta – non è tra questi paesi.

Da poche ore, infatti, Palazzo Chigi ha diffuso la notizia del voto favorevole che il nostro paese intende esprimere rispetto alla risoluzione che – in questi minuti – viene discussa in seno all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, all'interno del celebre Palazzo di Vetro di New York. La decisione italiana arriva in seguito all'annuncio del "Sì" da parte di Francia e Spagna. Probabilmente, sulla qualità della scelta italiana, è pesata anche la decisione dei cugini francesi e spagnoli. In particolare, erano in molti ad attendere la decisione della Francia prima di esprimere un proprio parere a riguardo. In quanto membro permanente del Consiglio di Sicurezza (e quindi con potere di veto), lo status francese all'interno dell'ONU è più pesante di quello italiano, e la propensione d'oltralpe per il "sì" ha dato – di fatto – via libera a chiunque avesse intenzione di schierarsi a favore della richiesta dell'Autorità Nazionale Palestinese.

L'ambasciata israeliana a Roma – intanto – ha già reso noto di essere "molto delusa" dalla decisione dell'Italia; paese che ha definito "uno dei migliori amici di Israele". D'altronde, la posizione ufficiale del governo israeliano – anche se affatto condivisa da tutti i principali leader politi del paese –  è che la risoluzione "allontanerà l'ipotesi di creazione di uno stato palestinese anziché avvicinarla". Tale posizione, sul piano internazionale, viene del tutto avallata dagli USA – pronti a votare contro – ma anche osteggiata da paesi come Russia e Cina che, invece, sembrano del tutto pronti a votare "sì".

Del resto, le ragioni della delusione di Israele sono note a tutte e non riguardano il riconoscimento dello Stato di Palestina in sé e per sé ma le conseguenze che esso determina. Tali ragioni sono ben sintetizzate dalla posizione del Regno Unito che ha annunciato la sua astensione, in compagnia della Germania. Il Regno Unito, infatti, aveva vincolato un eventuale "Sì" all'assicurazione da parte dei leader palestinesi di non utilizzare il riconoscimento ottenuto per ricorrere alla Corte Penale Internazionale e denunciare Israele per violazione dei diritti umani e crimini contro l'umanità (violazioni che avrebbero il sostegno di molteplici prove e testimonianze, non ultime quelle degli stessi osservatori delle Nazioni Unite). Tale richiesta, hanno fatto sapere i leader palestinesi, è irricevibile, il che ci porta alla situazione attuale. Tra gli stati europei più popolosi, quindi, le cose stanno in questi termini: Italia, Spagna e Francia hanno deciso per il sì, Regno Unito e Germania per l'astensione.

La richiesta di riconoscimento avanzata dall'Anp rivendica il diritto della Palestina a diventare – quanto meno – Stato Osservatore Non Membro, il medesimo status che viene riconosciuto alla Città del Vaticano e che consentirebbe alla Palestina di guadagnare maggior peso sullo scacchiere internazionale. Già lo scorso anno gli equilibri diplomatici internazionali hanno impedito ad Abu Mazen e Mahmoud Abbas (rispettivamente leader e presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese) di ottenere il pieno riconoscimento dello Stato di Palestina presso il Consiglio di Sicurezza dell'ONU. In quella sede, infatti, Francia, Russia, Stati Uniti, Regno Unito e Cina godono del diritto di veto e gli USA se ne servono di continuo per bloccare qualsiasi risoluzione critica nei confronti di Israele o vagamente solidale con la causa palestinese.

Al momento sono 193 gli stati membri delle nazioni unite e 75 gli stati osservatori. Ad oggi, la Palestina è rappresentata in seno all'Assemblea Generale dall'Autorità Nazionale Palestinese (come sancito dal trattato di Oslo del 1993) il cui status – però – non è quello di "nazione" ma di "entità". Israele, al contrario, è stato membro a tutti gli effetti fin dal 1949. Una situazione che sancisce in maniera sfacciata l'anti-egualitarismo che vige all'interno delle organizzazioni internazionali quando si parla della questione arabo-israelo-palestinese; anti-egualitarismo che, specie alla luce degli ultimi avvenimenti, non è più tollerabile. Perché i negoziati siano credibili (e quindi efficaci); perché i trattati internazionali e le risoluzioni siano effettivamente vincolanti (e non solo suggerimenti che possono essere disattesi a piacimento e senza conseguenze);  perché i profughi palestinesi possano fare rientro in patria così com'è stato concesso agli israeliani; perché se i sospetti crimini contro l'umanità vengano indagati e approfonditi; per tutto questo occorre che lo Stato di Palestina sia – per le Nazioni Unite – non una vaga "entità", ma uno stato e un popolo cui sarebbe ora di riconoscere pieni diritti e doveri. Il processo di pace riparte da questo dato, o non ripartirà affatto.

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