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L’ISIS attacca Kobane. Turchia accusata di aver lasciato passare i kamikaze

I miliziani dello Stato Islamico si sono servizi di kamikaze per entrare nei sobborghi della città. I curdi: “Abbiamo bisogno di armi”.
A cura di Davide Falcioni
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UPDATE Ore 13.15 – Il bilancio dell'attacco dell'Isis a Kobane è al momento di 25 morti e 75 feriti. Il sito curdo Rudaw conferma che i miliziani si sono infiltrati nella città indossando divise appartenenti alle forze curde dello YPG. Nel frattempo la Turchia nega che i terroristi siano passati dal suo territorio prima di far esplodere le autobomba.

UPDATE ore 11.00 – Secondo alcune fonti citate da Al Jazeera e dalla tv di stato siriana gli attacchi kamikaze sarebbero stati portati dalla Turchia ed avrebbero visto anche l'impiego di autobombe. La stessa Turchia che si era opposta al passaggio di aiuti umanitari e alla fuga dei profughi da Kobane nei mesi scorsi…

I curdi avevano da tempo lanciato l'allarme sulla possibilità di un nuovo attacco dello Stato Islamico alla città di Kobane, presidio nevralgico della resistenza all'avanzata dell'Isis già liberato nei mesi scorsi dai combattenti vicini al PKK di Ocalan. Ebbene, per la prima volta dalla fine di gennaio i miliziani islamisti sono riusciti a rientrare nel perimetro della città dopo una massiccia offensiva che ha trovato impreparate le forze curde, a corto di armi adeguate e del necessario sostegno della coalizione internazionale, che fu invece determinante nella vittoria di quasi 5 mesi fa.

I combattimenti hanno avuto inizio nel corso della notte e dai sobborghi si sono spostati verso il centro. Secondo fonti citate da Al Jazeera i miliziani hanno attaccato Kobane da tre lati, indossando uniformi dei combattenti curdi per trarre in inganno i nemici. In molti casi i membri dello Stato Islamico si sarebbero fatti esplodere causando ovviamente numerose vittime tra gli abitanti del cantone. Secondo la BBC lo Stato Islamico avrebbe ormai raggiunto le aree più popolose della città e le forze dell'YPG avrebbero chiesto ai civili di rimanere barricati in casa.

L'attacco portato dallo Stato Islamico ha indotto molti attivisti curdi ad accusare la Turchia di offrire il suo sostegno al califfato. E' di pochi giorni fa la notizia che sarebbero stati trovati tunnel sotterranei grazie ai quali l'Isis verrebbe rifornito di armi direttamente dal lato turco. La perdita di Kobane rappresenterebbe un grave colpo per i curdi, che erano riusciti a riconquistarla dopo quattro mesi di combattimenti e a difenderla anche grazie al sostegno della Coalizione Internazionale. Nei giorni scorsi le YPG, Unità di difesa del popolo, avevano annunciato la conquista Ayn Issa, località strategica a una cinquantina di chilometri da Raqqa, roccaforte dello Stato Islamico. Non solo: i curdi avevano assunto il controllo anche del valico di Tal Abyad, sul confine con la Turchia, finora in mano ai jihadisti del Daesh.

Nei giorni scorsi una delegazione di combattenti curdi ha fatto visita alla Camera dei Deputati insieme a membri de L'Altra Europa, Sel e Un Ponte per. Tra gli altri, era presente anche Nessirin Abdallah, comandante dell’Ypj, l’unità di difesa delle donne: "Le nostre armi – ha detto la combattente – non sono al livello di quelle del nemico. La nostra filosofia è di non arrenderci o perdiamo la nostra libertà ma abbiamo bisogno di aiuti militari per avere successo. A livello morale siamo fortissimi ma ci mancano le armi. Ne abbiamo bisogno perché combattiamo contro una forza che ha armi molto più sofisticate delle nostre". Quella dei curdi, tuttavia, "non è solo una lotta militare ma culturale, sociale, morale. E questo ci dà anche la possibilità per costruire le basi di un nuovo modello di vita sul nostro territorio tra tutte le minoranze che hanno la loro rappresentanza dentro l’unità di difesa. Non c’è nessuna diversità tra tutte le popolazioni di Rojava, lottiamo tutti insieme per essere liberi tutti insieme".

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