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Intervista a Jamie McCartney, l’artista del “muro di vagine”

Un muro di 400 calchi in gesso di vagine: l’opera dell’artista inglese Jamie McCartney è stata presentata per la prima volta nel maggio 2012 a Londra, e da allora ha fatto il giro d’Europa. Il “Great Wall of Vagina” continua ancora oggi a stupire e a scandalizzare migliaia di persone: attraverso le parole dell’artista inglese riscopriamo la sua arte, ripercorrendo così la sua intensa riflessione sui modi odierni di rappresentazione ed idealizzazione del corpo femminile.
A cura di Federica D'Alfonso
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Un grande muro fatto di vagine. Si, avete capito bene: dieci pannelli composti da 400 calchi in gesso di altrettante parti intime femminili. Ossessione? Perversione? Provocazione? Niente di tutto questo. Un messaggio profondamente significativo che l'artista inglese Jamie McCarney ha deciso di rendere comunicativo attraverso la propria arte: ogni corpo è diverso dagli altri, ed è proprio in questa diversità che consiste la normalità. Un'idea semplice, che può sembrare quasi scontata: in realtà, di scontato non c'è più nulla in una società in cui la consapevolezza di se stessi deve passare attraverso modelli estetici prestabiliti ed omologanti. Ed è così che McCartney ha deciso di realizzare 400 calchi in gesso di altrettante vagine, riuniti nei 10 pannelli che compongono "The Great Wall of Vagina": l'opera è stata presentata per la prima volta a Londra nell'ambito di una mostra intitolata "Skin Deep" presso la Hay Hill Gallery, fra il maggio e il giugno del 2012, per poi arrivare a Torino e ripartire alla volta di Berlino, e quest'anno ha partecipato al "Passion for freedom Festival" presso le Mall Galleries, sempre a Londra.

"Cambiare l'immagine del corpo femminile attraverso l'arte": un'idea che Jamie McCartney spiega in modo semplice, diretto ed estremamente consapevole.

Se non si ha un modello sano di cosa sia la "normalità", come possiamo sapere se siamo o no "normali"? La gente è perennemente ossessionata dal proprio corpo, e anche la sfera più intima è oggi a portata di mano della chirurgia plastica, che cerca di convincere le donne che sono in qualche modo imperfette.

Se nel corso degli anni la sessualità con tutto ciò che la riguarda è gradualmente uscita dal ruolo di tabù da evitare a tutti i costi, allo stesso tempo essa è diventata lo strumento diretto per realizzare e raggiungere un modello di perfezione che non corrisponde però alla normalità. L'opera di McCartney nasce da questo, da un'esigenza critica che mira a decostruire i modelli estetici oggi vigenti, trasformando in simbolo la parte più intima del corpo femminile.

Jamie McCartney di fronte al suo "Great Wall of Vagina"
Jamie McCartney di fronte al suo "Great Wall of Vagina"

Secondo McCartney la pornografia, e ancora di più la chirurgia estetica, trasmettono messaggi devianti a proposito del corpo e delle svariate forme che per natura esso può assumere: la diretta conseguenza è la poca consapevolezza nei confronti della propria intimità. Un esempio significativo di tale situazione è l'incremento esponenziale delle operazioni chirurgiche a fini meramente estetici degli ultimi decenni: solo in Inghilterra, gli interventi di vaginoplastica sono raddoppiati. "Piuttosto che rassicurare le donne sul fatto che non hanno nulla da temere, tanti chirurghi plastici si sentono in diritto di convincerle delle loro imperfezioni".

un pannello del "Great Wall of Vagina"
un pannello del "Great Wall of Vagina"

Cambiare l'immagine del corpo femminile attraverso l'arte secondo McCartney vuol dire dunque prendere coscienza dei modi distorti di realtà che in un certo senso la società si è auto imposta:

dopo che le donne hanno avuto la possibilità di osservare da vicino tutti e quattrocento i calchi della mia scultura, si renderanno sicuramente conto che possono esistere molte versioni di normalità. Sicuramente troveranno qualcuno che è più simile a loro, e questo può essere molto utile ad alleviare le ansie che si hanno.

Al giorno d'oggi infatti, secondo McCartney, non esiste un termine di paragone per la propria intimità al di là della pornografia, la quale veicola messaggi fuorvianti: "la pornografia, diciamolo, è vicina alla realtà tanto quanto possono esserlo i film di Hollywood".

Da queste riflessioni è nata l'idea di un'opera che tenta di ristabilire quel delicato equilibrio fra imbarazzo di sé e consapevolezza: un'idea che è nata in occasione di una mostra in un museo del sesso, dal titolo "The Spice of Life". In quell'occasione McCarney si trova a realizzare una scultura murale di 18 diverse coppie di genitali, tra i quali anche i suoi.

Per la prima volta ho potuto confrontare il mio corpo con quello di altri 17 uomini, e mi sono reso conto che ero perfettamente normale. È stata una vera epifania. Allo stesso tempo mi sono reso conto che le donne sono preoccupate dei propri genitali tanto quanto gli uomini: dunque, proprio come io mi sono sentito rassicurato quando ho avuto la possibilità di confrontarmi con la vera normalità, ho deciso che le donne dovessero avere la stessa opportunità.

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Ci sono voluti cinque anni per completare la scultura: cinque anni per trovare persone disposte ad uscire così tanto allo scoperto. Quattrocento donne, tutte volontarie, che hanno creduto nel progetto e volevano essere coinvolte.

"Le reazioni della gente di fronte alla mia opera sono molto positive. Resto affascinato nel guardarle trascorrere molto tempo a camminare su e giù e a controllare tutto. È sorprendente vedere come le persone siano incuriosite: la curiosità sessuale è perfettamente normale, e con il mio lavoro la si può soddisfare in pubblico senza alcuna vergogna. Si tratta di una esperienza unica. Per alcune persone è molto emozionante, alcuni addirittura piangono. Dalle email che ricevo capisco che la mia opera aiuta moltissime persone, sia donne che uomini, a sentirsi normali e a smettere di preoccuparsi del proprio corpo".

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