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Strage di aquile negli USA: dopo quasi 30 anni scoperta la causa della malattia che le uccide

Un team di ricerca internazionale ha svelato la causa della morte misteriosa di numerose aquile di mare testabianca, il simbolo degli Stati Uniti.
A cura di Andrea Centini
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Nel 1994 numerose carcasse di aquile di mare testabianca (Haliaeetus leucocephalus) furono trovate nei pressi del lago DeGray, in Arkansas (Stati Uniti). Fu l'inizio di una vera e propria moria che nel giro di diversi anni portò alla morte di almeno 130 esemplari, sebbene gli studiosi ritengano che le aquile morte siano almeno dieci volte di più, considerando che il tasso di recupero delle carcasse si attesta al 10-12 percento. Furono avvistate anche diverse aquile moribonde, con evidenti problemi neurologici causati da gravissime lesioni cerebrali che le facevano sembrare “ubriache”. Andavano a sbattere, non si reggevano in piedi ed erano preda di convulsioni, tremori, cecità e paralisi. Una morte orrenda per un uccello maestoso e meraviglioso, simbolo degli Stati Uniti e di diverse divisioni delle forze armate. Dopo oltre 25 anni dall'inizio delle ricerche i ricercatori sono finalmente riusciti a capire la causa di questi decessi; una neurotossina prodotta in specifiche circostanze da microorganismi chiamati cianobatteri.

A scoprire e descrivere questa neurotossina, chiamata dagli esperti aetokthonotossina (cioè “veleno che uccide le aquile”), è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati dell'Università della Georgia, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi dell'Istituto di Farmacia dell'Università Martin-Luther Halle-Wittenberg (Germania), di Cyano Biotech, del Max Planck Institute for Marine Microbiology (MPIMM), della U.S. Environmental Protection Agency (EPA), dell'Istituto di Idrobiologia dell'Accademia Ceca delle Scienze e di numerosi altri centri di ricerca. Gli scienziati, coordinati dalla professoressa Susan B. Wilde, docente presso la Warnell School of Forestry and Natural Resources dell'ateneo di Athens, iniziarono a studiare la moria delle aquile sin dal ritrovamento delle prime carcasse. La malattia responsabile fu rapidamente definita col nome di “mielinopatia vacuolare (VM)”, a causa delle peculiari lesioni osservate nel cervello degli uccelli morti, mai viste prima nelle aquile.

Nei laghi in cui comparivano le aquile morte o malate ben presto furono trovate altre specie di animali uccisi dalla stessa malattia, sia uccelli come gufi e folaghe, che rane, pesci, lumache, salamandre, testuggini e altri ancora. Era chiaro che fosse coinvolta una fonte alimentare e che le aquile fossero le più colpite in assoluto perché si nutrivano di tutte queste altre specie, essendo in cima alla catena. I ricercatori trovarono in breve tempo un'indiziata, la pianta invasiva Hydrilla verticillata originaria dell'Africa – fu introdotta negli USA nel 1960 e da allora è diventata una delle specie più problematiche –, ma soprattutto dei cianobatteri che vivevano su di essa chiamati (tempo dopo) Aetokthonos hydrillicola. Le aquile con VM venivano recuperate solo nei pressi dei laghi dove erano presenti sia le piante che i cianobatteri e non in quelli dove c'era soltanto la pianta. Gli uccelli e gli altri animali che mangiavano l'Hydrilla non invasa, del resto, non si ammalavano.

Nonostante la correlazione con i cianobatteri fosse evidente, mancava ancora la "pistola fumante". Come questi batteri provocavano la morte delle aquile e degli altri animali? Si ipotizzò la presenza di una neurotossina. Nelle colture batteriche in laboratorio i ricercatori si accorsero che non veniva prodotta alcuna tossina, un risultato che stava per smontare l'intero studio, tuttavia uno scienziato tedesco ebbe l'idea di aggiungere del bromuro nei test. Quando la sostanza fu aggiunta, i cianobatteri iniziarono a produrre la tossina letale responsabile della mielinopatia vacuolare.

Normalmente il bromuro è presente in basse concentrazioni nei laghi, tuttavia si tratta di un inquinante legato ai ritardanti di fiamma, alle centrali elettriche a carbone e agli erbicidi, proprio come quelli utilizzati per estirpare l'Hydrilla verticillata. I ricercatori ben presto hanno capito che la tossina ammazza-aquile era il risultato di una catena di eventi, dall'introduzione di una pianta aliena all'inquinamento di origine antropica per controllarne la diffusione, che permetteva ai cianobatteri di sviluppare il veleno micidiale. Controllando l'immissione del bromuro nei laghi e la proliferazione della pianta invasiva, dunque, è possibile ridurre al minimo il rischio per le aquile e gli altri animali, sebbene i ricercatori ritengano improbabile che la malattia venga estirpata del tutto. I dettagli della ricerca “Hunting the eagle killer: A cyanobacterial neurotoxin causes vacuolar myelinopathy” sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica Science.

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