250 CONDIVISIONI
video suggerito
video suggerito

Il cane è il miglior amico dell’uomo e abbiamo appena scoperto come ha fatto a diventarlo

Un team di ricerca giapponese ha scoperto due mutazioni genetiche che avrebbero favorito la domesticazione del cane, trasformandolo da lupo a “Fido”
A cura di Andrea Centini
250 CONDIVISIONI
Immagine

Il primo animale addomesticato dall'uomo è stato il cane, si ritiene tra i 10 e i 15mila anni fa, anche se alcuni pensano che questa saldissima unione tra le due specie affondi le sue radici sino a 40mila anni fa, come evidenziato dallo studio “Ancient European dog genomes reveal continuity since the Early Neolithic”. Non sappiamo nemmeno dove abbia avuto origine questa storia meravigliosa, se in Europa o in Asia; ciò che è certo è che un giorno, durante il Neolitico o il Paleolitico, antenati lupini del genere Canis hanno iniziato a interagire più intimamente con gli esseri umani, forse per ragioni legate alla caccia, o magari per profittare degli scarti lasciati negli insediamenti. Da quel momento è iniziata la trasformazione della specie selvatica, che ha portato alla nascita del cane domestico (Canis lupus familiaris). Oggi ne esistono centinaia di razze (alcune poco fortunate), ma tutte appartengono alla medesima specie, dal minuscolo chihuahua al gigantesco alano. Per permettere questa transizione c'è stata naturalmente una modifica genetica che ha reso il “lupo” domabile; un nuovo studio ha dimostrato che due specifiche mutazioni in un gene avrebbero favorito il processo di domesticazione, permettendo ai cani di sviluppare le caratteristiche comportamentali e cognitive alla base dell'interazione e della comunicazione con gli esseri umani.

A scoprire le mutazioni genetiche che avrebbero agevolato la domesticazione del cane è stato un team di ricerca giapponese guidato da scienziati del Dipartimento di Scienze veterinarie e del Center for Human and Animal Symbiosis Science dell'Università di Azabu. I ricercatori, coordinati dalla professoressa Miho Nagasawa, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver condotto specifici esperimenti con 624 cani, appartenenti a molteplici razze. Per prima cosa hanno suddiviso i cani in due gruppi principali: le razze ancestrali o antiche, che comprendono cani geneticamente più prossimi ai lupi (come l'husky e l'akita); e le razze generali, ovvero tutti i cani considerati lontani dai lupi, come ad esempio i carlini e i beagle. I ricercatori li hanno sottoposti a specifici test per analizzarne le capacità cognitive nell'interazione sociale. Nel primo esperimento, come indicato in un comunicato stampa dell'ateneo nipponico, i cani dovevano trovare il cibo nascosto sotto alcune ciotole seguendo i “suggerimenti” delle persone, come il picchiettare e l'indicare la ciotola giusto. In questo esperimento i ricercatori hanno valutato le capacità di comunicazione e la comprensione dei gesti umani da parte dei cani. Nel secondo test i cani dovevano provare ad aprire un contenitore per recuperare il cibo all'interno; in questo caso è stata valutata la il tempo trascorso dai cani a osservare i ricercatori e la frequenza degli sguardi, per valutare la dipendenza e l'attaccamento degli animali all'uomo. Incrociando tutti i dati è emerso che le razze antiche e più vicine al lupo trascorrevano meno tempo a guardare le persone, un risultato che indica un ridotto attaccamento all'essere umano. In altri termini, i cani ancestrali mantengono una percentuale maggiore dell'indole selvatica e indipendente. Non sono state evidenziate differenze tra le razze nel primo esperimento.

Successivamente la professoressa Nagasawa e i colleghi hanno raccolto campioni dai cani e li hanno sottoposti a test di sequenziamento, andando a caccia delle differenze nei geni associati alle capacità cognitive nelle interazioni umane tra le razze antiche e quelle generali. I ricercatori hanno esaminato i polimorfismi genici nei geni che codificano per l'ossitocina, per il recettore dell'ossitocina e per il recettore della melanocortina 2 (MC2R), oltre che in un gene correlato alla sindrome di Williams-Beuren (WBSCR17), che nell'uomo si manifesta con un comportamento estroverso e particolarmente socievole anche con gli estranei. Tutti questi geni sono considerati potenzialmente coinvolti nella domesticazione del cane. Gli studiosi hanno identificato due mutazioni significative nel gene per MC2R, che sono risultate associate sia alla corretta interpretazione dei gesti umani (come quelli del primo esperimento), che a uno sguardo più prolungato verso le persone durante compiti che prevedono la risoluzione di problemi (come nel secondo esperimento). In parole semplici, queste mutazioni genetiche avrebbero giocato un ruolo prezioso nella domesticazione del cane, rendendolo meno stressato in presenza degli esseri umani e aiutandolo a sviluppare le fondamentali abilità sociali e cognitive (come il famoso sguardo triste) che l'hanno reso il nostro miglior amico. I dettagli della ricerca “Identification of genes associated with human-canine communication in canine evolution” sono stati pubblicati sull'autorevole rivista Scientific Reports.

250 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views