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Il caso delle “quote rosa” dei Radicali alle elezioni regionali in Lazio

Una donna in più (o un uomo in meno). Questo il motivo che ha spinto la Corte d’Appello di Roma a bocciare la Lista dei Radicali (Giustizia, Amnistia e Libertà) nel Lazio.
A cura di Biagio Chiariello
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Tanto insolita, quanto amara la decisione della Corte d'Appello che ha bocciato il listino del candidato presidente di Amnistia Giustizia Libertà, cioè i radicali, Giuseppe Rossodivita, alle regionali in Lazio per eccesso di "quote rose". Una donna in più o un uomo in meno, questo in sintesi il motivo che ha spinto i giudici a non concedere il via libera al partito di Marco Pannella. Il listino, infatti, avrebbe dovuto essere composto per il 50 per cento da donne e per il 50 per cento da uomini, ma quello dei radicali risultava composto, invece, da un uomo in meno. Un uomo che nelle intenzioni del partito sarebbe dovuto essere proprio Rossodivita. A norma di legge, infatti, la figura del candidato governatore è da considerare come neutra: ciò significa che nella ripartizione di genere del listino dei Radicali figuravano, candidato presidente escluso, cinque donne e quattro uomini. Un vizio di forma, o meglio un problema di disparità di genere a cui la squadra di Rossodivita ha provato ad ovviare ritirando la candidatura di una componente del listino (Antonella Casu – candidata assieme ad Anna Cannellino, Valeria Centorame, Maia Antonietta Coscioni e Mina Welby) e presentato una «istanza di riammissione» alla stessa Corte d’Appello.

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