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Opinioni

Giornata mondiale contro la mutilazione genitale femminile: un incubo per 200 milioni di bambine

Oggi ricorre la giornata internazionale contro le mutilazioni genitali femminili. I dati sono impressionanti: oltre 200 milioni di donne e bambine sono sottoposte a questo rito crudele in cui vengono private della loro sessualità. In molti casi, sono piccole di meno di 10 anni. La maggior parte di loro vive in Africa, Medio Oriente e Asia, ma la mutilazione genitale femminile viene praticata anche in Europa, Australia e Stati Uniti.
A cura di Mirko Bellis
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Deeqa Dahir Nuur, una bimba somala di 10 anni, è morta nel luglio scorso a seguito di un’emorragia provocata dall'ablazione del clitoride, la mutilazione genitale femminile (Fgm) ancora profondamente radicata nel Paese africano. E’ solo una delle tante vittime di questo rito crudele che continua ad essere praticato in tutto il mondo. Oggi, 6 febbraio si celebra la giornata internazionale contro le mutilazioni genitali, un “rituale di passaggio” all'età adulta che però non ha nessun motivo medico. Per ragioni ancora difficili da estirpare, i corpi femminili vengono privati della loro sessualità. Una “preoccupazione globale”, come la definisce l’Organizzazione mondiale della sanità.

Sono almeno 200 milioni le bambine e donne costrette a subire questa tortura. La maggior parte di loro vive in Africa, Medio Oriente e Asia. La pratica è quasi universale a Gibuti, Guinea e Somalia, dove circa il 98 per cento delle donne e delle ragazze ha subito una qualche forma di mutilazione genitale. In molti casi, sono bambine tra i 5 e 9 anni. Ma la mutilazione genitale femminile riguarda anche Europa, Australia e Stati Uniti. E non solo, spesso le bambine e adolescenti sono a rischio di essere sottoposte a mutilazione quando tornano nei Paesi d’origine per far visita ai parenti, soprattutto nel periodo estivo quando comincia quella che si conosce come la “stagione del taglio”.

Molte comunità praticano la mutilazione genitale nella convinzione che garantirà la verginità prima del matrimonio, la fedeltà della futura sposa e quindi l'onore familiare. Sebbene la religione venga utilizzata per giustificare questa violenza ai corpi delle donne, non esiste nessun precetto o credo che la preveda. “Sappiamo che questa è una pratica radicata nelle credenze tradizionali – ha sottolineato Hawa Aden Mohamed, direttrice del Centro di educazione per la pace e lo sviluppo di Gallacaio, un gruppo per la difesa dei diritti delle donne nella Somalia centrosettentrionale. “Ma siamo convinti che attraverso l'educazione si possa sensibilizzare le donne e le ragazze sui rischi per la salute e le violazioni dei diritti umani.  Sfortunatamente, la maggior parte di coloro che entrano nel nostro programma hanno già subito questa pratica”

“Le mutilazioni genitali femminili rappresentano tante cose: un atto violento che causa infezioni, malattie, complicazioni durante il parto e anche la morte”, ha affermato Henrietta H. Fore, direttore generale di Unicef. “Una pratica crudele che infligge danni emotivi duraturi nel tempo – ha aggiunto Fore – perpetrati sui più vulnerabili della società: le ragazze nella fascia di età compresa tra l'infanzia e i 15 anni”.

L’impegno di Nice per mettere fine alle mutilazioni

Nice, la giovane keniota impegnata contro le mutilazioni genitali femminili (Giulio Paletta)
Nice, la giovane keniota impegnata contro le mutilazioni genitali femminili (Giulio Paletta)

Nice Nailantei Leng’ete, giovane donna Maasai, ha sfidato le norme sociali di una comunità dominata dagli uomini, nel tentativo di porre fine alle mutilazioni genitali femminili. Dopo essere rimasta orfana, è sfuggita a soli 9 anni al taglio, opponendosi con caparbietà alla volontà della sua famiglia, in particolare dei suoi zii. Da allora il suo impegno non si è mai arrestato. “All'inizio ho dovuto lottare per la mia condizione, poi ho visto che c'erano altre bambine in pericolo come me. Mi sono detta che avrei dovuto combattere anche per loro”. Da allora l’impegno di questa donna keniota non si è più fermato. “Spero che la mia storia sia di incoraggiamento per tante altre bambine e ragazze, per camminare insieme verso l'obiettivo che il mondo si è dato: mutilazioni zero entro il 2030”.

La battaglia contro la mutilazione genitale femminile

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Il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (Unfpa) assieme a Unifef ha lanciato nel 2008 un programma per porre fine alle mutilazioni genitali delle donne.  Da allora, 13 paesi hanno approvato leggi che vietano la Fgm e le agenzie delle Nazioni Unite hanno fornito l'accesso ai servizi di prevenzione, protezione e trattamento a più di 700mila donne e ragazze. L'eliminazione delle mutilazioni genitali femminili è inclusa fra gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, approvati dall'Assemblea Generale dell'ONU il 25 settembre 2015, e dovranno essere raggiunti entro il 2030. Amref, da 60 anni la più grande organizzazione sanitaria africana che opera nel continente, ha lanciato la campagna "Stop the cut" – Fermiamo il taglio. “Per promuovere l’abbandono delle mutilazioni genitali femminile – è l’appello delle Nazioni Unite – è necessario un impegno coordinato e sistematico che deve coinvolgere intere comunità e focalizzarsi sui diritti umani e sull'uguaglianza di genere. E’ necessario anche affrontare le esigenze in materia di salute riproduttiva e sessuale delle donne e delle ragazze che ne soffrono le conseguenze”.

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