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Perché un attacco della Cina a Taiwan è possibile ma non imminente

L’intervista di Fanpage.it a Filippo Fasulo, analista dell’Ispi esperto di Cina: “Una possibilità che Pechino attacchi Taiwan in via teorica c’è, altrimenti non ce ne preoccuperemmo. Ma non credo possa essere imminente. La guerra in Ucraina ci ha fatto capire perché”.
A cura di Ida Artiaco
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"La possibilità che la Cina attacchi Taiwan c'è, altrimenti non ce ne preoccuperemmo. Ma non è imminente: il perché ce lo ha mostrato quanto successo con la guerra in Ucraina".

A parlare è Filippo Fasulo, analista dell’Ispi, l'Istituto per gli studi di politica internazionale, esperto di Cina, che a Fanpage.it ha spiegato il significato degli ultimi avvertimenti che Pechino ha inviato agli Stati Uniti sulla questione Taiwan, definita dal nuovo ministro degli Esteri cinese Qin Gang "il fulcro degli interessi centrali della Cina, il fondamento politico nelle relazioni Cina-Usa e la prima linea rossa che non deve essere superata".

Quanto è reale la possibilità di un attacco cinese a Taiwan?

"Una possibilità in via teorica c'è, altrimenti non ce ne preoccuperemmo. Ma se devo dire la mia opinione, non credo possa comunque essere imminente, posto che abbiamo imparato lo scorso anno, con l'Ucraina, che in questo genere di cose non ci si può fidare più di tanto".

Perché la Cina è tornata a parlare di Taiwan?

"Ci sono due ragioni. La prima è una questione di narrazione politica, che riguarda la volontà di Pechino di completare il ricongiungimento del territorio cinese. L'idea di fondo è che la Cina si consideri in una condizione di sovranità mutilata, come a noi italiani mancava Trieste, per cui non avrà completato il suo percorso di modernizzazione se non avrà ripreso anche Taiwan, che in passato era sotto l'Impero cinese.

La seconda ragione è di tipo più strettamente economico: Taiwan è anche la sede principale per la realizzazione del prodotto più importante per il mercato cinese e cioè i semiconduttori avanzati. Quindi riuscire ad avere un controllo su Taiwan avrebbe un particolare significato anche da questo punto di vista.

Noi vediamo diverse dichiarazioni da parte del governo cinese sull'esigenza di riprendere Taiwan, di essere pronti all'invasione di Taiwan. Che però questo possa effettivamente avvenire in tempi rapidi non è così evidente e il perché l'abbiamo capito anche con la guerra in Ucraina".

In che senso?

"In Ucraina abbiamo visto due cose: la prima è che l'Occidente è pronto a reagire, perché la risposta di Unione europea e Usa di supporto all'Ucraina è stata forte e ha permesso di evitare che Putin la conquistasse dopo poco. Lo stesso la Cina potrebbe aspettarsi nel caso di invasione di Taiwan, quindi non sarebbe un ingresso trionfale, come anche Putin pensava di farlo a Kiev, ma sarebbe una azione respinta dal coinvolgimento dei paesi occidentali.

Dall'altro lato, c'è poi anche un aspetto più prettamente militare, relativo alla capacità cinese di riuscire a fare una operazione pulita, con la quale conquistare il territorio di Taiwan in tempi rapidi. Lo stesso esercito russo che doveva essere teoricamente più avanzato dopo quello americano è ancora fermo ai confini a combattere. L'esercito cinese, che non combatte in operazioni reali da decenni, difficilmente potrebbe pensare di prendere Taiwan rapidamente".

Al momento, dunque, si rimane sul livello della minaccia?

"Esatto, salvo la questione particolarmente rilevante dell'incidente. Mi spiego: in un percorso in cui si ritiene che al momento non sia conveniente per nessuna delle due parti avanzare, per i cinesi invadere Taiwan e per quest'ultima fare dichiarazioni di indipendenza, quello che potrebbe accadere è che in un crescendo di tensioni possano esserci incidenti che portano ad una spirale improvvisa.

È quello che stava accadendo, ad esempio, quando l'ex speaker della Camera Usa, Nancy Pelosi, lo scorso agosto era andata in visita a Taipei, alzando in qualche modo l'asticella, poi ulteriormente sollevata dalla reazione di Pechino con i missili lanciati intorno a Taiwan nei giorni immediatamente successivi".

Eppure la tensione tra Cina e Usa resta comunque alta, abbiamo visto non solo la questione dei palloni spia anche le indagini sull'origine del Covid. Quali scenari potrebbero aprirsi e quanto potrebbe incidere sugli sviluppi della guerra in Ucraina?

"Io non credo che dipenda dalla tensione tra Usa e Cina la fine del conflitto in Ucraina, quanto dalle decisioni che prenderà Putin. Poi lì si può discutere sull'eventuale capacità dei cinesi nello spingere il presidente russo a fermarsi.

Quello che è successo col conflitto in corso è che si sono radicalizzate le posizioni: se già prima dell'invasione russa dell'Ucraina si cominciava a discutere di un mondo gradualmente diviso in due blocchi, con la guerra questi ultimi si sono un po' più definiti,e  con la Cina sempre più vicina alla Russia confinata nel recinto delle autocrazie da un lato e gli Stati Uniti che chiamano a raccolta le democrazie per contrastare le prime. In questo modo si riducono le possibilità di confronto. Credo, in altre parole, che non è la riduzione del confronto che porta la guerra ma la guerra che porta alla riduzione del confronto.

Tanto è vero che quello che ha fatto la Cina è stato cercare nuovi partner e alleati per dimostrare di non essere sola nel sostenere direttamente o indirettamente la Russia ma che c'è tutto un mondo di paesi terzi tendenzialmente non ostili a Mosca".

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