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La Spagna a ferro e fuoco: la miopia politica e le sue conseguenze

La Spagna di Rajoy ricorre agli aiuti della Troika. Tagli, tagli e ancora tagli, la ricetta neoliberista è sempre la stessa: indebitarsi per pagare debiti, a scapito della popolazione meno abbiente. Ma la piazza non ci sta, e reagisce con forza. Il prossimo giovedì lo sciopero generale.
A cura di Anna Coluccino
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Trenta arrestati in tre giorni, le due principali manifestazioni del weekend hanno visto la partecipazione di circa trentamila persone, cariche, scontri, tentativi falliti di accampata. La giornata di domenica è stata più tranquilla ma già il prossimo giovedì si annunciano nuove tensioni per lo sciopero dei sindacati. Infiammata dalla lotta dei minatori delle Asturia, la Spagna reagisce con forza ai tagli imposti dal governo Rajoy, la popolazione non accetta di essere messa da parte nella discussione che coinvolge il futuro di milioni di persone e – soprattutto – non accetta di diventare, come è già successo alla Grecia, a tutti gli effetti un feudo della Troika. Gli accordi sottoscritti, infatti, privano di sovranità il paese che – d'ora in poi – non avrà alcuna voce in capitolo nella definizione della propria politica economica e sarà costretta a rincorrere obiettivi impossibili a costo di enormi sacrifici e nessuna reale prospettiva di rilancio dell'economia.

Gli spagnoli, ormai, sono pienamente coscienti della situazione e la loro presenza in piazza si fa via via più agguerrita, rimandando immagini in tutto e per tutto simili agli scontri che – negli ultimi anni – hanno periodicamente infiammato Atene e le principali città della Grecia: volti sanguinanti, cariche violentissime, pestaggi, lanci di lacrimogeni da una parte e di molotov dall'altra, un centinaio i feriti. La piazza ha gridato per giorni. "Dimissioni" e "vergogna" le parole più utilizzate, perché ciò che i manifestanti vedono è un governo incapace di reagire ai dictat della Troika, piegato alla volontà di una politica europea che non rispecchia i desideri dei popoli europei e affatto impegnato nella difesa dei diritti dei cittadini spagnoli. Per questo i manifestanti hanno deciso di concentrare la loro protesta a Madrid, accerchiando sia la sede dei Popolari che quella del del Partito socialista, entrambi accusati di incompetenza e collusione con i poteri forti.

La rabbia, insomma, monta inesorabilmente, e accade proprio nel paese che, un anno fa, tentò di proporre nuovi modelli di resistenza, modelli che non prevedevano l'uso della violenza ma a cui il governo ha sempre risposto con sgomberi e cariche, o addirittura chiedendo che la "resistenza passiva" diventasse un reato connesso ad attività terroristiche. A questo punto, gli Indignados si trovano a fronteggiare una situazione in cui le tredicesime dei dipendenti pubblici vengono tagliate già a partire da quest'anno, i servizi sono massacrati da tagli e riassetti, scuola e sanità sono al lumicino, minatori, pescatori, agricoltori vengono lasciati soli in balia della crisi e altri mille e mille provvedimenti vessatori sono stati varati; provvedimenti che guardano in un'unica direzione: far cassa allo scopo di pagare un debito contratto per colmare un precedente debito. Sembra uno scioglilingua, ma è esattamente quanto accade. In un simile scenario, è immaginabile che il paese vada incontro a un inasprimento del conflitto sociale a cui – com'è ben noto – certo potere sa rispondere esclusivamente con la repressione.

Perché i tagli imposti da Rajoy sono la tomba dell'economia spagnola – L'Opinione

di Giuseppe Quaresima

Sto leggendo varie versioni giornalistiche (più o meno serie) a proposito dei tagli proposti (o per meglio dire imposti) dal Presidente del Governo spagnolo Mariano Rajoy. Credo ci sia un po' di confusione, nei termini dei tagli, nello scopo degli stessi e soprattutto sul perché appaiono "necessari" quando sono una tremenda soluzione politologa inventata dai governi nazionali per giustificare aberrazioni economiche. Ma andiamo con ordine.

In questo caso, i soldi che la Spagna ha ricevuto (o per meglio dire riceverà in diciotto mesi) servono a coprire il debito privato causato dalla pessima gestione delle entità finanziarie del Paese. Il caso spagnolo è più vicino a quello islandese che a quello greco, almeno in principio, ed è facile prevedere che le difficoltà economiche condurranno la Spagna ad affrontare un serio problema di debito pubblico. Ma, tornando alla funzione degli aiuti promessi alla Spagna, si tratta di soldi pubblici utilizzati per tappare il buco nero speculativo che numerose Banche iberiche hanno provocato. Bankia non è un esempio, altre cadranno, sta già accadendo. Pare che sia l'intero settore ad aver bisogno di circa 100 mila milioni di euro, e la causa principale di questa situazione è la speculazione immobiliare che ha dominato gli ultimi due decenni. Detto in parole povere: tra i crediti attivi delle banche vengono annoverate ipoteche il cui valore è sovrastimato; a questo – poi – vanno sommati gli investimenti effettuati a grandissimo rischio. La necessità di copertura nasce dal pericolo di un effetto domino capace di coinvolgere diverse entità europee (comprese banche tedesche e francesi), per questo "l’aiuto europeo" è ben visto da parte dei principali governi dell’Unione.

Questi soldi, che provengono dalla Bce, sono stati concessi solamente a condizione di forti garanzie che il governo spagnolo è già obbligato a offrire. La garanzia principale è chiaramente il pagamento del debito in un tempo ragionevole e soprattutto la possibilità che ciò avvenga. Essendo la Spagna – in questo momento – un paese con un grande problema di finanziamento a tassi di interesse sostenibili (los bonos a dieci anni viaggiano ora a tassi sopra il 7 per cento) è chiaro che queste garanzie si traducono inevitabilmente in drastici tagli della spesa pubblica e in un aumento (quasi) generalizzato delle imposte. Il che, in pratica, è come se un creditore tagliasse le mani a un contadino che gli deve dei soldi. Il rischio concreto è che si entri in nel loop tagli-crisi-aiuto-tagli in cui è entrata la Grecia. Le misure fanno paura proprio per questo: alimentano il problema e non risolvono nulla.

Il "quasi" di cui sopra si riferisce al fatto che sono principalmente tre le categorie penalizzate: lavoratori, pensionati e disoccupati. Senza contare i tagli nei settori del'educazione e della sanità che costringono nella disoccupazione migliaia di persone e precludono sempre di più l'accesso ai servizi da parte delle fasce sociali più deboli. In terra iberica, la selezione di classe si avvia ad essere il modello economico sociale prevalente dei prossimi decenni (il Portogallo di fatto verte nelle stesse condizioni già da un anno).

Questa è solo il secondo piatto (il primo lo ha servito zapatero) mancano ancora frutta dolce e caffè, sperando che la Troika non imponga anche un ammazzacaffè. I tagli porteranno il paese ad un peggioramento della crisi, ridurranno le possibilità di consumo e di conseguenza ne risentirà anche la bilancia fiscale: meno introiti dal lato delle tasse, interessi sul debito sempre più alti e in aggiunta copertura del "rescate" (salvataggio) bancario se dovesse fallire. Si tratta di una spirale, alimentandola non se ne esce.

La Spagna si trasforma di fatto in un paese a sovranità limitata (ancor più di quanto non lo siano i paesi della periferia europea), il ministero dell'economia sarà di fatto commissariato ed eventuali nuove misure verranno prese direttamente in ambito europeo. La preoccupazione dei paesi che più di tutti hanno messo il danaro per questa tranche di aiuti (in gran parte la Germania e i paesi del nord europa) è vedersi assicurato il pagamento delle obbligazioni contratte, il resto è relativo. È chiaro che se non si interviene sul settore produttivo spagnolo in maniera strutturale e di medio-lungo periodo, questa aspettativa verrà disattesa dalla sua stessa impraticabilità (è come chiedere ad un mendico di restituirti i soldi che gli lasci in elemosina per mezzo di una nuova elemosina).

Oltre che nella pubblica amministrazione, duri colpi sono stati assestati anche nei settori sovvenzionati dove si è verificata la sospensione degli accordi  settoriali. Quello del settore minerario è il primo esempio ma sicuro non l'ultimo. Il settore ittico e quello agricolo (anch'essi in parte sovvenzionati) sono già in allarme, dopo esser stati già fortemente penalizzati dall'accordo bilaterale Ue-Marocco sui beni di consumo. Tale mancanza di rispetto degli accordi rischia di devastare socialmente ed economicamente intere zone e regioni e soprattutto di annientare i pochi settori produttivi del paese.

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