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La polizia salva oltre 400 bambini da abusi sessuali in case di accoglienza in Malesia

I minori sono stati trovati dalle forze dell’ordine in 20 strutture in condizioni fatiscenti tra gli stati federali Selangor e Negeri Sembilan. Sono 172 gli arresti per abusi sessuali e traffico di esseri umani.
A cura di Giovanni Turi
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La polizia malesiana ha salvato 402 bambini che venivano abusati sessualmente attraverso pratiche religiose in 20 case di accoglienza
La polizia malesiana ha salvato 402 bambini che venivano abusati sessualmente attraverso pratiche religiose in 20 case di accoglienza

Li toccavano nelle parti intime, dicendo che era una pratica religiosa. Gli veniva impartito di fare lo stesso tra di loro. E ancora: bruciature con cucchiai metallici incandescenti quando commettevano errori, assenza di assistenza medica finché lo stato di salute non diventava critico. È ciò che hanno vissuto 402 bambini e teenager accolti in strutture di una holding legata a una setta islamica tra gli stati federali di Selangor e Negeri Sembilan della Malesia.

Salvati dalla polizia mercoledì 11 settembre, adesso 172 persone – 66 uomini e 105 donne -, compresi insegnanti di religione, predicatori e guardiani, sono state arrestate con l’accusa di abusi fisici e sessuali su minori e traffico di esseri umani. I bambini, divisi perfettamente per genere e di età compresa tra 1 e 17 anni, erano trattenuti in 20 case di accoglienza in condizioni fatiscenti. La maggior parte delle case, ben 18, erano localizzate a Selangor.

Secondo le indagini preliminari ricostruite dall’agenzia di stampa statale Bernama, molti di loro erano in quelle strutture perché i genitori avevano deciso di educarli alla religione musulmana. Ma lì dentro c'erano tutte le dinamiche appartenenti a una setta, che poi sfociavano in pratiche sodomizzanti da parte dei custodi e spinte a replicare gli atti con i coetanei dagli insegnanti.

Ora i minori si trovano temporaneamente in un centro di polizia nella capitale Kuala Lumpur e verranno sottoposti a uno screening sanitario e a una documentazione. La Commissione per i diritti umani della Malesia ha chiesto norme più stringenti sulle case di accoglienza. Soprattutto perché "questi posti non sono adeguatamente regolamentati o supervisionati", ha detto a Free Malaysia Today il commissario Farah Nini Dusuki.

Il raid della polizia è arrivato dopo denunce di sfruttamento, molestie e abusi sessuali avvenute all’inizio di settembre in una struttura di Negeri Sembilan. Tra l’altro, le case di cura sarebbero connesse all’holding Global Ikhwan Services & Business Group che, a sua volta, era in stretto collegamento con la setta religiosa deviante al Arqam, bandita dal governo nel 1994 perché eretica. Anche perché entrambe risalirebbero a un’unica persona: Ashaari Mohamad, una sorta di leader spirituale morto nel 2010.

L’azienda, infatti, era nata sulla base dei principi economici dell’Islam. Negli anni, spiega Reuters, aveva fondato persino un controverso "Club delle mogli obbedienti", un gruppo che invitava le donne a sottomettersi ai mariti “come prostitute”.

La holding ha negato che queste case di accoglienza siano a lei collegate. Stando al vice ispettore generale della polizia Ayob Khan Mydin Pitchay, le prime indagini hanno svelato che la holding creerebbe case di accoglienza per raccogliere donazioni. E che i bambini sarebbero stati usati anche con questa finalità.

Ma la Global Ikhwan, al momento sotto indagine per sfruttamento minorile, continua a negare fermamente. E con una nota ha sostenuto che le ricostruzioni delle autorità malesi siano “maliziose”, oltre al fatto che l’azienda “non scenderà a compromessi con alcuna attività che vada contro la legge, in particolare per quanto riguarda lo sfruttamento di bambini”.

Secondo il sito web della stessa Global Ikhwan, la holding è coinvolta in molteplici attività strettamente connesse all’halal (principio che permea comportamenti, linguaggio, alimentazione e abbigliamento nella vita dei musulmani), tra cui cibo e bevande, media, medicina, viaggi e proprietà immobiliari.

Inoltre, dà lavoro a oltre 5.000 persone e ha filiali in 20 Paesi, tra cui una catena di ristoranti a Londra, Parigi e in Australia e un’oasi in Arabia Saudita. Tra gli immobili, peraltro, dice Malay Mail, conta strutture in Turchia, un hotel a Sarajevo e 120 acri a Perth, capitale dell’Australia Occidentale.

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