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Julian Assange e il caso Wikileaks

Julian Assange, spiato dentro l’ambasciata e ricattato: 3 milioni per non rivelare i suoi segreti

Julian Assange, il fondatore di WikiLeaks, era spiato all’interno dell’ambasciata dell’Ecuador a Londra da almeno due anni. Un giornalista spagnolo, assieme ad alcuni complici, ha chiesto al celebre attivista 3 milioni di euro per non rendere pubblici video, telefonate e messaggi riservati che lo riguardavano. Una spy story che si è conclusa con l’arresto del reporter e di un suo collaboratore.
A cura di Mirko Bellis
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Julian Assange all'interno dell'ambasciata ecuadoriana a Londra (Agencia 6)
Julian Assange all'interno dell'ambasciata ecuadoriana a Londra (Agencia 6)
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Julian Assange, il fondatore di Wikileaks arrestato l'11 aprile scorso nell'ambasciata dell’Ecuador a Londra, da almeno due anni era spiato in ogni suo movimento, telefonata e incontro. Persino i colloqui privati con il suo avvocato venivano ripresi dall'obiettivo di una telecamera nascosta. La vicenda, rivelata dal quotidiano El País, contiene tutti gli ingredienti di una spy story. I protagonisti della trama sono un giornalista spagnolo con una condanna per truffa alle spalle, spregiudicati esperti informatici, una "talpa" dentro l'ambasciata ecuadoriana e un tentativo di ricatto da 3 milioni di euro al celebre attivista australiano.

Tutto inizia da un tweet pubblicato alcune settimane fa con la proposta di vendere al miglior offerente documentazione sulla vita di Assange all'interno della delegazione diplomatica ecuadoriana a Londra. Se il nome del titolare dell’account Twitter è falso, il telefono di contatto e l'indirizzo e-mail, invece, sono autentici. Kristin Hrafnsson, il caporedattore di WikiLeaks, decide quindi di contattare i venditori per comprovare la veridicità della loro offerta. Un primo scambio di e-mail rivela subito che si tratta di materiale sensibile: alcune fotografie che ritraggono l'avvocato di Assange, Baltasar Garzón, a colloquio con il suo assistito, immagini dei passaporti delle persone in visita all'attivista e persino gli appuntamenti con il medico. I venditori fissano subito un prezzo: 3 milioni di euro per non rivelare ai media quanto in loro possesso. Il pagamento avrebbe dovuto realizzarsi in Spagna. Hrafnsson prende tempo, vuole altre prove prima di concludere l’accordo. Si convince quando riceve gli appunti di Aitor Martínez, un avvocato dell'ufficio di Garzón, con la strategia difensiva che i legali stanno mettendo in atto per conto di Assange. Il resto lo fanno i file audio con conversazioni private e una cartella di messaggi che, con tutta probabilità, sono stati carpiti illegalmente dai telefoni degli avvocati lasciati all'ingresso dell’ambasciata. Per WikiLeaks si tratterebbe delle prove di quanto vanno affermando da tempo, cioè che il governo ecuadoriano di Lenín Moreno, grazie alla Promsecurity  – l'agenzia dal 2017 si occupa della sicurezza della missione diplomatica a Londra – ha piazzato ovunque microfoni e telecamere per spiare Assange.

La prima riunione tra Hrafnsson e José Martín Santos, il giornalista spagnolo a capo del gruppo di ricattatori, avviene a Madrid il 2 aprile scorso. Santos si fa accompagnare da due complici, presentati come esperti informatici. In un bar della capitale spagnola, il reporter accende un computer su cui cominciano a comparire file e immagini riservate. Ma le cose vanno storte perché, quello stesso giorno, Hrafnsson e i legali di Assange presentano una denuncia alla polizia. L'indomani, un nuovo incontro con il caporedattore di WikiLeaks, viene filmato dalle forze dell’ordine. Hrafnsson agisce d’astuzia e prova a farsi dire chi si nasconde dietro la rete di spionaggio. Ma la risposta è vaga perché Santos afferma solo di avere avuto il materiale da qualcuno del personale dell’ambasciata. Sei giorni dopo, in una conferenza stampa tenuta a Londra, WikiLeaks denuncia pubblicamente il tentativo di ricatto.

Santos e gli altri, tuttavia, non si danno per vinti e, presentandosi questa volta come Agencia 6 – un media online registrato in Spagna – abbassano le loro richieste di denaro. Adesso per il materiale chiedono 1,5 milioni di euro. La minaccia è sempre la stessa: rendere pubbliche le informazioni riservate di Assange. E il 10 aprile infatti, Agencia 6 pubblica su Youtube un video in cui appare il fondatore di WikiLeaks mentre gioca con il suo gatto in un corridoio della rappresentanza diplomatica in cui è rifugiato dal 2012. Un filmato in fondo innocuo che chissà voglia essere un avvertimento nel caso la somma richiesta non venga pagata.

L’epilogo avviene mercoledì con l’arresto ad Alicante di Santos e di un suo collaboratore. Contro di loro le accuse sono pesanti: associazione a delinquere, estorsione, violazione della privacy e della segretezza nelle comunicazioni tra avvocato e cliente. I due, dopo aver prestato dichiarazione davanti al giudice di Madrid, sono stati rilasciati. Dalle colonne del sito Agencia 6, il reporter ha provato a difendersi. Per Santos non ci sarebbe stato alcun ricatto. La negoziazione avrebbe avuto come oggetto la vendita a WikiLeaks dell’esclusiva mondiale con le prove dello spionaggio ad Assange. Di sicuro, il giornalista avrà adesso tutto il tempo di spiegare ai magistrati le sue ragioni ed evitare così di finire in carcere.

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