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“Europa nata dopo la Seconda Guerra Mondiale, questo nuovo shock spingerà verso l’unificazione”

Intervista a Massimo Gaudina, Capo Rappresentanza della Commissione europea a Milano. “Il progetto europeo ha portato all’Italia stabilità, ripensiamo il progetto, ma non dimentichiamo mai i suoi successi”.
A cura di Redazione
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Di Eliana Capretti

Intervista a Massimo Gaudina, Capo Rappresentanza della Commissione europea a Milano.


L’emergenza Covid-19 ha portato molti italiani a chiedersi a cosa serva l’Unione europea. La profonda crisi economica e sociale che probabilmente si dovrà affrontare rende questa domanda ancora più pressante. Dal suo osservatorio così peculiare della Rappresentanza della Commissione in una città simbolo della lotta al COVID-19 come Milano, ci spiegherebbe in parole semplici a cosa serve l’UE in situazioni come questa?

I 27 paesi hanno dato all’UE poteri e competenze in campo commerciale, economico, monetario, ma non nel settore sanitario, che hanno voluto mantenere a livello nazionale. Nonostante questo, l’Unione europea può fare molto per sostenere gli sforzi dei singoli Paesi nella lotta contro il COVID-19. Per fare qualche esempio, la Commissione ha bloccato le esportazioni di dispositivi medici al di fuori dell’Ue, eliminando allo stesso tempo le misure nazionali che impedivano alle mascherine di arrivare lì dove ce n’era bisogno, come l’Italia. La Commissione ha ricevuto e destinato all’Italia diverse donazioni internazionali di materiali sanitari. Ha sigillato i confini esterni dell’Ue e ha creato delle corsie preferenziali alle frontiere nazionali per velocizzare il trasporto di alimentari, medicinali e altri beni di prima necessità all’interno dell’Ue. Sta finanziando laboratori e centri ricerca di tutta Europa per sviluppare vaccini e trovare nuove terapie. E sul lato economico l’UE sta mobilitando tutti i mezzi a sua disposizione, che permetteranno alle piccole e medie imprese (PMI) di avere accesso alla liquidità e ai settori colpiti di avere aiuti economici.

Nonostante i Paesi UE non le abbiano dato competenze in questa materia,  l’UE non è rimasta immobile, quindi. Potrebbe raccontare come ci si è mossi su questo fronte?

Nell’emergenza attuale la Commissione europea ha da subito (23 febbraio) inviato in Italia gli esperti dell’Agenzia europea per la gestione delle malattie, per assistere le autorità italiane. Ha organizzato gare d’appalto europee d’emergenza sia per la produzione di mascherine e ventilatori (che saranno pronte per la distribuzione nei prossimi giorni), sia per i ricercatori impegnati a trovare vaccini e terapie. Inoltre, ogni giorno i 27 Ministri della salute e la Commissaria Kyriakides si riuniscono in videoconferenza per confrontare e coordinare le loro mosse. E per finire la Commissione europea ha creato una Task Force sul coronavirus con funzioni di coordinamento a livello politico, composta dai commissari responsabili per le politiche maggiormente interessate.

In che cosa è diversa la nostra situazione in Ue rispetto a quella degli Stati Uniti, ad esempio?

La sanità pubblica e accessibile a tutti è uno dei capisaldi del modello sociale europeo. Non è così in altri continenti.

Oltre a quelli nel settore della sanità, ci sono interventi previsti sui altri due fronti strategici quali ricerca ed economia…

L’Unione europea ha stanziato 47,5 milioni di euro per ricerca, diagnosi e trattamenti contro il COVID-19, sostenendo 17 progetti di 136 gruppi di ricerca in tutta Europa, tra i quali uno a guida italiana (che coinvolge Dompé, centro Cineca di Bologna, Politecnico di Milano e altri partners). Inoltre, sono stati stanziati 90 milioni di euro per l’iniziativa di innovazione medica con l’industria farmaceutica. Inoltre fino a 80 milioni di euro andranno alla società CureVac, basata a Tubinga, impegnata nello sviluppo e nella produzione di vaccini anti-Coronavirus, sulla quale pare che avessero puntato gli occhi gli USA.

Sul versante economico, verrà applicata la massima flessibilità sui conti pubblici nazionali, saranno riorientati verso la sanità quasi 40 miliardi di euro di fondi non utilizzati e sarà mobilitato un fondo UE fino a 8 miliardi di euro per incentivare le banche a fornire liquidità ad almeno 100 mila PMI. Massima flessibilità anche sugli aiuti di Stato: già approvate le misure italiane da 50 milioni di euro a sostegno i produzione e fornitura di mascherine e apparecchiature mediche, con aiuti fino a 800 mila euro per impresa, garanzie bancarie, prestiti agevolati.

Molte chiusure si sono sbloccate con l’intervento europeo, penso ad esempio a quello del Commissario UE Thierry Breton che intercedendo con la Germania ha permesso di sbloccare aiuti e materiali poi giunti in Italia. Pur essendo arrivati ad una soluzione dell’impasse grazie all’UE, questa resta bersaglio di critiche da parte dell'opinione pubblica spesso molto violente. Come lo spiega? 

 L’intervento del Commissario Breton ha convinto i Paesi membri a non bloccare l’esportazione di materiali sanitari verso altri Stati membri. La Germania, l'Austria e la Francia stanno ora inviando importanti quantitativi di mascherine all’Italia, e sta anche ospitando nei propri ospedali alcuni pazienti italiani. In aggiunta, la Commissione europea sta concludendo appalti europei di emergenza e stoccaggio di attrezzature mediche, tra cui ventilatori e mascherine protettive.

Nonostante queste misure, una parte dell’opinione pubblica ha criticato l’Unione europea. Molte delle critiche riguardavano però misure che, come spiegato prima, sono nazionali e nelle quali l’Ue non può intervenire per mancanza di competenze legali. Inoltre, molte delle azioni UE sono avvenute e stanno avvenendo dietro le quinte, ma vi assicuro che la solidarietà e la cooperazione europea sono in piena azione.

Nonostante questo, la sensazione è spesso quella di un’Europa invisibile. Che ruolo ha in situazioni come questa la protezione civile europea, ad esempio? Potrebbe affiancare quella italiana? Come si può attivarla?

C’è sicuramente un problema di percezione. Si parla molto , e giustamente, degli aiuti provenienti dalla Cina, ma non si ricorda abbastanza che Italia, Francia, Germania e altri 6 paesi europei, con la protezione civile UE, avevano aiutato tre mesi fa la Cina stessa, quando l’emergenza era concentrata nel Hubei.

Il Meccanismo europeo di Protezione civile ha il compito di rafforzare la cooperazione tra le protezioni civili dei Paesi Ue e, dove necessario, attivare le risorse necessarie per risposte collettive. La Commissione europea coordina la risposta a livello europeo e copre fino al 75% delle spese di trasporto e operative. Il Meccanismo viene attivato su richiesta del Paese interessato. In passato si è attivata svariate volte in favore dell’Italia, dai terremoti dell’Italia centrale agli incendi boschivi del 2017.

Esiste un coordinamento della comunicazione europea durante le crisi? Se sì, come funziona?

Esiste un coordinamento operativo e politico, tra tutti gli attori coinvolti: i 27 Ministri della salute, i 27 Ministri degli Interni e tutti i Commissari competenti.

Inoltre la Presidente von der Leyen ha voluto espressamente creare una figura all’interno di questa Commissione, dedicata alla gestione delle crisi, affidata al commissario Lenarčič, proprio perché non si può affrontare una crisi o un’emergenza con un approccio frammentato. Ma la comunicazione resta prevalentemente nazionale : sia perché le misure e le situazioni cambiano da paese a paese, sia perché le opinioni pubbliche nazionali si rivolgono in primo luogo ai media e alle istituzioni nazionali, soprattutto in tempi di crisi.

A Bruxelles si parla spesso di “euro bubble”, una bolla chiusa in cui sono concentrati tutti coloro che lavorano per le istituzioni europee. Come superare questo divario, soprattutto per raccontare l’Europa a chi ne beneficia?

Raccontare l’Europa è sempre meno un compito di Bruxelles e sempre più un servizio pubblico che svolgono -o dovrebbero svolgere- i media e le istituzioni pubbliche, sia nazionali che locali. Per questo la Commissione dispone di uffici di Rappresentanza e comunicazione nei 27 Paesi (due in Italia : a Roma e a Milano, NDR): il compito è proprio quello di lavorare con gli attori nazionali, fuori dalla “bolla” di Bruxelles, che ha invece un compito essenziale in campo giuridico, economico e politico. Noi lavoriamo con i media italiani, con le università, le scuole, gli enti locali e con la nostra rete di centri d’informazione ”Europe Direct”, proprio per raccontare l’Europa che c’è già, con le sue mille realizzazioni.

Si ricorda spesso come una delle particolarità dell’Unione europea sia quella di essere un’istituzione in movimento, in fieri, mentre le istituzioni tendenzialmente sono statiche. I processi di unione politica del passato, come la nascita degli Stati Uniti d’America sono stati realizzati rapidamente e hanno avuto un solo momento costituente. L’unificazione europea, invece, è un processo di cambiamento istituzionale lungo e quindi difficile secondo qualcuno, da raccontare. L’immagine della bicicletta di Delors (“o si pedala o si cade”) sembra un invito a non vivere di rendita e pedalare, anche in salite come questa. Crede che sia arrivato il momento per un ripensamento del progetto di costruzione europeo?

Il progetto europeo ha portato all’Italia stabilità, pace, fondi per le start-up e le PMI, aiuti post-terremoto, voli low-cost, scoperte scientifiche, wifi e roaming gratuiti, Erasmus, restauri a Pompei o Venaria Reale, corsi di riqualificazione per disoccupati e molto molto altro. Ripensiamo il progetto, ma non dimentichiamo mai i suoi successi. Nel mondo globalizzato in cui le grandi sfide – clima, pandemia, terrorismo – superano i confini, anche la risposta deve superare i confini. Ancora più di prima. L’Europa è nata dopo lo shock della Seconda guerra mondiale e questo nuovo shock provocherà sicuramente dei cambiamenti, con un’ulteriore spinta all’unificazione. Lo dice la storia.

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