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Colombia – Governo respinge trattative di pace delle FARC: chi vuole la lotta armata?

Ad ottobre, in Norvegia, le Farc e il governo colombiano avvieranno il terzo tentativo di colloquio di pace per porre fine a un conflitto che ha fatto decine di migliaia di vittime in 50 anni. Ma lo stato colombiano ha già tradito due volte gli accordi di pace. Ora non vuole la tregua. A chi fa comodo la lotta armata?
A cura di Anna Coluccino
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Colombia FARC

Per gli Stati Uniti e l'Unione Europea – sempre più allineata alle posizioni politiche degli USA –  le FARC-EP (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia – Esercito del Popolo) sono a tutti gli effetti un'organizzazione terroristica. Per i paesi del Sud America – fatta eccezione per Colombia e Perù – così come per l'ONU, le FARC non sono altro che un'organizzazione di guerriglieri, con una propria struttura politico-amministrativa, il cui scopo è combattere la repressione militare e sovvertire le logiche di potere colombiane e che sono in guerra con le milizie governative da quasi cinquant'anni. Le ragioni dello scontro affondano le radici nelle intricate maglie della storia ma, di fatto, tutto ha avuto inizio nel 1964, quando lo stato colombiano (supportato dagli onnipresenti Stati Uniti, cancro al cuore della politica sudamericana) decise di reprimere nel sangue le pacifiche esperienze di auto-organizzazione agraria e contadina sviluppatesi nelle regioni Tolima e Huila che – secondo le dichiarazioni ufficiali – costituivano un "attacco all'unità nazionale" in quanto strutturate come repubbliche indipendenti. In realtà, il tentativo di auto-organizzazione non aveva altro scopo se non quello di consentire ai contadini di sopravvivere all'insostenibile diseguaglianza politica, economica e sociale che ha sempre caratterizzato le popolazioni dell'intero Sud America, e la Colombia in particolare. Ma i potentati colombiani non potevano consentire che il popolo gli sottraesse risorse e, soprattutto, non potevano rischiare il contagio. Lo stato scelse perciò la politica della repressione e – da allora – lo scontro non ha più avuto fine.

Capita spesso che, strumentalmente, si preferisca non operare differenza alcuna tra resistenza e terrorismo, a meno che non sia il Potere stesso a benedire una forma di lotta piuttosto che un'altra, assegnandole l'onorevole titolo di "resistenza". Si può discutere – e il dibattito sarebbe quanto mai attuale – del valore della violenza come reazione alla violenza, ma non si può non operare alcuna distinzione tra la violenza offensiva e quella difensiva. Tra quella che pone delle condizioni di uguaglianza sociale e quella incondizionata che intende soggiogare, sottomettere, azzittire qualunque dissenso. La storia delle FARC racconta di un'organizzazione nata a scopo difensivo, un'organizzazione che ha certamente ingaggiato scontri aperti e violenti con il potere governativo (scontri fatti di attentati, sabotaggi, rapimenti….) ma che per due volte ha tentato di abbandonare la lotta armata in favore del confronto politico democratico. In entrambe le occasioni, però, le promesse fatte dai vari governi sono state disattese, gli accordi traditi senza vergogna. È accaduto nel 1984 e, ancora una volta, nel 2002. I negoziati si riapriranno ad ottobre, ma i segnali offerti in questi giorni dallo stato colombiano non sono rassicuranti.

La prima volta, a siglare i cosiddetti "accordi della Uribe" fu il presidente Belisario Betancourt, nel 1984. Gli accordi garantivano il cessate il fuoco da ambo le parti, l'istituzione di elezioni popolari per sindaci e governatori, la decentralizzazione amministrativa e offrivano garanzie di libertà per l'attività politica di tutti i movimenti. In virtù e in conseguenza di simili assicurazioni le FARC si unirono ad altre forze politiche in un movimento denominato Uniòn Patriottica attraverso il quale riuscirono ad eleggere 14 parlamentari e molti tra sindaci e consiglieri. E fu allora che il governo decise che non solo poteva contravvenire agli accordi ma poteva approfittare dell'abbassamento delle difese delle FARC per sterminare – fisicamente – migliaia di militanti dell'UP. La seconda volta, il processo di pace ebbe un'incubazione molto lunga, durò dal 1998 al 2002 e viene ricordata sotto il nome di "Dialoghi del Caguán". Peccato che nemmeno in quell'occasione il processo avesse basi solide, giacché era stato innescato dal governo – rappresentato da Andres Pastrana – solo per paura del crescente favore ottenuto dalle FARC all'interno della popolazione colombiana. Fu per il timore di perdere lo scontro armato con le FARC che il governo repressivo colombiano sottoscrisse un'intesa denominata "Agenda Comune per il cambiamento verso la Nuova Colombia". Ma bastò l'approvazione del Plan Colombia (fortemente promosso dagli USA) per sbloccare un'ingente carico di dollari, armi e militari provenienti dagli Stati Uniti e mandare all'aria quattro anni di trattative. Il governo tornò così ad attaccare, con ancor più violenza che in passato, l'organizzazione delle FARC. E loro risposero al fuoco, utilizzando ogni mezzo a disposizione. Basti pensare che buona parte dei guerriglieri – volontari – delle FARC ha meno di 18 anni per comprendere quanto lo scontro preveda pochissime esclusioni di colpi.

Eppure, nonostante i ripetuti fallimenti, l'alto segretariato delle FARC – composto da sette membri, a capo dei quali c'è Rodrigo Londonio detto "Timochenko" – ha recentemente chiesto il cessate il fuoco in vista dei colloqui di pace che dovrebbero cominciare – il prossimo ottobre – in Norvegia. Lo ha fatto nel corso di una conferenza stampa tenutasi a Cuba in cui ha chiesto di "stabilire una tregua al decennale conflitto che ha ucciso decine di migliaia di persone". Ma il presidente della Colombia – Juan Manuel Santos – ha fatto sapere che non c'è alcuna possibilità che questo accada e che, anzi, la polizia ha ricevuto l'ordine di intensificare le azioni offensive contro i ribelli. "Non ci sarà nessun cessate il fuoco" ha dichiarato il presidente "non faremo concessioni fino a quando si arriverà all'accordo finale, e voglio che questo sia molto chiaro".  Ed è curioso che a non fidarsi degli avversari sia proprio il rappresentante del medesimo gruppo di potere che ha più volte tradito accordi e trattati. Così com'è curioso che ci si ostini a voler far credere che le FARC siano direttamente legate al narcotraffico quando nessuno dei dirigenti dell'organizzazione di guerriglieri ha (né ha mai avuto) una relazione con il defunto Pablo Escobar paragonabile a quella che aveva con lui il padre dell'ex presidente Alvaro Uribe (al potere fino al 2010).

Nell'epoca dell'informazione totale, tantissimo si perde nell'assordante, costante chiacchiericcio globale. Tanto che, nonostante la democratizzazione della fruizione e della produzione di contenuti, la storia continuano a scriverla i vincitori.

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