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Julian Assange e il caso Wikileaks

Assange non sarà estradato negli USA: corte Uk concede nuovo appello. Cosa rischia il fondatore di Wikileaks

È arrivato il verdetto per Julian Assange. L’Alta Corte di Londra si è pronunciata sulla sentenza a carico del cofondatore di WikiLeaks, accusato dagli USA di aver diffuso migliaia di documenti riservati, concedendo all’attivista australiano un ulteriore appello contro l’estradizione oltre Oceano.
A cura di Biagio Chiariello
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Julian Assange potrà giocarsi un'ultima carta contro l'estradizione negli USA. L'Alta Corte di Londra ha infatti dato oggi, 26 marzo, il via libera all'istanza presentata dai legali del giornalista australiano e cofondatore di WikiLeaks – respinta in primo grado – per un ulteriore, estremo appello di fronte alla giustizia britannica contro la consegna alle autorità americane.

La giustizia londinese si è dunque pronunciata sull’appello finale della difesa dell'attivista contro la procedura di estradizione dal Regno Unito agli Stati Uniti d'America. Una decisione arrivata oltre un mese dopo i primi giorni d'udienza a febbraio, periodo nel quale sono state prese in considerazione le argomentazioni dei legali di Assange, incentrate sull’idea di “una persecuzione contro la legittima attività giornalistica” del loro assistito.

Cosa ha deciso l'Alta Corte di Londra

Il tribunale londinese doveva decidere, appunto, se Assange avesse ancora diritto a ricorrere in appello nel Regno Unito o se essere giudicato dalle Corti americane. Con la decisione di oggi, l'imputato ha ottenuto il permesso dalla corte Uk di portare il suo ricorso contro l'estradizione negli Stati Uniti in un'altra udienza.

Il processo è aggiornato al 20 maggio.

Nella sentenza si legge che la Corte "ha dato il Governo degli Stati Uniti 3 settimane per fornire garanzie soddisfacenti sul fatto a) che il Sig Assange potrà fare affidamento sul Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti (che protegge la libertà di parola), b) non sarà pregiudicato durante il processo (compresa la sentenza)in ragione della sua nazionalità (è cittadino australiano) e che gli saranno concesse le stesse protezioni del Primo Emendamento di un cittadino degli Stati Uniti e c) che la pena di morte venga esclusa".

Cosa rischia il fondatore di Wikileaks

Il giornalista australiano da anni ormai si batte contro il governo britannico con l'obiettivo di evitare l'estradizione negli USA dove lo attenderebbe il processo legato alla pubblicazione su Wikileaks a partire dal 2010 di migliaia di documenti militari e diplomatici sulle morti di civili nelle guerre Usa in Iraq e Afghanistan trapelati da Chelsea Manning, l'analista dell'intelligence dell'esercito Usa condannata a 35 anni di prigione ma poi ‘graziata' da Barack Obama dopo sette anni di carcere.

Incriminato dai giudici Usa nel 2019, il leader di WikiLeaks da cinque anni si trova nel carcere di massima sicurezza londinese di Belmarsh ma con l'estrazione in America rischia di essere condannato a 175 anni di carcere, se si sommano assieme tutti i capi di accusa contro di lui.

Le condizioni di salute di Assange

Il timore di un'estradizione è legato anche e soprattutto ai problemi di salute di Assange.  Già il mese scorso l'imputato non era stato in grado di presenziare di persona alle udienze all'Alta Corte e neanche ad assistervi in video collegamento a causa delle sue condizioni aggravatesi in questi quasi cinque anni di detenzione che hanno fatto seguito ai sette da rifugiato nella clausura murata di una stanza dell'ambasciata dell'Ecuador nella capitale britannica.

Sua moglie, Stella Assange, ha dichiarato: “La sua vita è a rischio ogni singolo giorno che trascorre in prigione. Se verrà estradato, morirà”.

E si è detta "sbalordita" dalla decisione della corte di ritardare l'appello del marito, evidenziando come la sentenza evidenzia che suo marito "rimane esposto alla pena di morte" "Tuttavia, ciò che la corte ha fatto è stato chiedere un intervento politico da parte degli Stati Uniti. Lo trovo sorprendente."

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