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La Svizzera pensa a un referendum contro la moneta bancaria

In Svizzera il movimento Iniziativa Moneta Interna propone di vietare alle banche l’emissione di qualsivoglia moneta “privata”, riservandola alla sola banca centrale. Il fine è nobile (proteggere i depositi da fallimenti e inflazione), ma il risultato sarebbe diabolico: una nuova forte stretta creditizia che aumentarebbe il costo del credito e diminuirebbe la liquidità drasticamente…
A cura di Luca Spoldi
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Che le banche non si siano fatte molto ben volere negli ultimi anni è cosa nota, che la soluzione possa essere obbligare le banche a non creare moneta è la clamorosa (e fallace) idea sostenuta, in Svizzera, dal movimento Iniziativa Moneta Interna che ha proposto un referendum per riservare alla sola banca centrale la creazione di moneta. Secondo i sostenitori del movimento il 90% della moneta che viene utilizzata dal sistema svizzero (intendendosi con moneta la “moneta scritturale sui conti correnti”, ossia la moneta non materiale che esiste solo nelle registrazioni contabili delle banche) non viene creata e messa in circolazione dalla banca centrale ma dalle banche commerciali private.

In un’era in cui alcuni propongono di ricorrre ai bitcoin, criptovaluta privata da tempo in cerca di una sua definitiva legittimazione, bollare come il diavolo la moneta scritturale, ossia virtuale, delle banche private è quanto meno bislacco, oltre che dannoso per qualunque sistema economico. Lo scopo dei sostenitori del movimento in teoria è chiaro: tornare ad una circolazione monetaria costituito al 100% dalla moneta a corso legale creata dalla banca centrale, l’unica esplicitamente protetta da fallimenti bancari. Siccome pensare di tornare ad un sistema in cui tutto il circolante sia rappresentato da banconote e monete metalliche è a dir poco “naive”, i proponenti il referendum, bontà loro, chiedono anche che alla banca centrale svizzera sia consentito emettere moneta elettronica.

Se la proposta dovesse passare la Svizzera tornerebbe ad un sistema monetario in cui l’unica a circolare sarebbe la base monetaria, quella che gli economisti denominano “M0”, costituita dalla moneta legale in circolazione (il “circolante”) e dalle riserve depositate dalle banche presso la stessa banca centrale. Se le banche commerciali non potessero “emettere” moneta propria sparirebbero gli assegni e quindi si contrarrebbe immediatamente la liquidità (che è costituita oltre che da M0 anche dai conti correnti trasferibili, appunto, mediante assegni, o “M1”, e da tutti gli altri depositi bancari vincolati fino a 2 anni o rimborsabili con preavviso fino a 3 mesi, o “M2”).

Ovviamente sparirebbero anche altre forme di “moneta” come i pronti contro termine, i fondi d’investimento monetari e le obbligazioni bancarie con scadenza non superiore ai 2 anni (viste le polemiche scoppiate dopo gli esiti della risoluzione di quattro banche italiane minori questo potrebbe comunque verificarsi, non solo in Svizzera). A cosa porterebbe una contrazione della liquidità ovvero delle fonti di finanziamento delle banche? Non ci vuole molto per capirlo: aumenterà il costo di rifinanziamento delle banche e, molto probabilmente, di aziende e famiglie. Per cercare di proteggere il pubblico risparmio da presunti (o provati) comportamenti fraudolenti di alcuni intermediari, si otterrebbe una nuova pesante stretta monetaria che finirebbe col mettere in difficoltà i soggetti più deboli del sistema, aziende o famiglia (oltre che banche) che siano.

Muoia Sansone con tutti i filistei! Se non foste ancora convinti di come di buone intenzioni o presunte tali siano lastricati i sentieri che conducano all’inferno finanziario, vogliate notare come i proponenti del bizzarro referendum rossocrociato si propongano anche di difendere l’economia elvetica, tramite l’uso della sola “moneta intera” (quella emessa unicamente dalla banca centrale), dall’inflazione. Ora: persino le mosche sulla carta moschicida sanno ormai che il problema di questo decennio, e probabilmente dei prossimi, è che di inflazione non se ne vede in giro. Intendiamoci, l’eccesso di inflazione è dannoso e rappresenta sostanzialmente una forma di tassazione indiretta, in quanto decurta parte del debito a danno del creditore, essendo per di più socialmente iniqua in quanto consente solo a chi possiede “pricing power” la possibilità di scaricare tale fenomeno sui prezzi delle proprie merci o servizi.

Ma l’assenza totale di inflazione è altrettanto deleterio e può condurre alla morte per asfissia di qualsiasi sistema economico. Se volete è una forma estrema di egoismo in cui chi ha i capitali non concede alcuno “sconto” a chi chiede un prestito: se questo avviene in un momento di bassa crescita come l’attuale in cui l’unica forma di reflazione dell’economia resta, per quanto insufficiente e inefficiente, la politica monetaria ultraespansiva della Banca centrale europea ben si comprende come il referendum in questione sia da osservare con cautela come uno strano esperimento di laboratorio, di cui si deve sperare in un esito favorevole al sistema economico (ossia un rigetto della proposta) e di cui nessuno dovrebbe pensare di esportarne il modello, magari a scopi meramente elettorali. Soprattutto in un paese a bassa cultura economico-finanziaria e ad elevato indebitamento pubblico come l’Italia che potrebbe cogliere il presunto lato positivo, la difesa del risparmio da fallimenti, inflazione e possibili scoppi di bolle finanziarie legate all'eccesso di liquidità, senza percepire tutti i rischi legati ad un'improvvisa e drastica stretta sul credito e al razionamento della liquidità.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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