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La quantificazione e la modifica della quota su un bene comune: Cassazione 18.09.2012 n. 15640

Quando alcuni beni sono acquistati da più persone in quote uguali, può capitare che il prezzo è pagato tutto da uno solo degli acquirenti oppure uno degli acquirenti paga una parte del corrispettivo maggiore rispetto la propria quota, se si verificano tali situazioni occorre comprendere quali sono i mezzi giuridici per ripristinare una situazione lineare, partendo dal semplice accollo per giungere alla modifica delle quote della comunione.
A cura di Paolo Giuliano
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Una delle norme alla base dell'istituto della comunione è quella secondo la quale le quote di ogni singolo contitolare si presumono uguali (art. 1101 comma I c.c.). Altro principio della comunione è quello secondo il quale la partecipazione alle spese e agli utili di ogni contitolare è proporzionale alla sua quota (1101 comma II c.c.), questo significa che ogni contitolare deve pagare le spese per i beni in comune (o riceve gli utili – frutti) sui beni comuni in base alla propria quota di partecipazione alla comunione.

Tornado alla determinazione delle quote di partecipazione di ogni singolo partecipante alla comunione è opportuno sottolineare che la presunzione di uguaglianza delle quote è un principio generale, il quale può essere derogato, in quanto, ad esempio, al momento della costituzione della comunione più persone pur acquistando un unico bene decidono di attribuirsi quote diverse, perchè pagheranno il bene in modo diverso.

Si è detto che al momento della creazione della comunione i contitolari possono avere quote diverse (non uguali), ma questo è possibile anche in un momento successivo alla nascita della comunione? Si pensi all'ipotesi, che si verifica sistematicamente, in cui due coniugi, (in separazione dei beni), acquistano un immobile (la casa familiare), ma questa è pagata solo da uno dei coniugi o il pagamento non avviene al 50%, ma in proporzioni diverse (ad esempio 70% e 30%) e, giusto per complicarci la vita, possiamo anche immaginare l'ipotesi in cui il prezzo di acquisto è pagato solo da uno dei coniugi o in quote diverse dai diversi contitolari del bene (formalmente acquistato in quote uguali), mentre altre spese  (es. Iperf, ici, imu ecc..), per problemi tributari, sono effettuate al 50%, in proporzione alla presunzione di eguaglianza delle quote ex art. 1101 c.c. .

Supponiamo che i due contitolari, dopo l'acquisto,  decidono di far in modo che le loro quote di contitolarità corrispondono quote di pagamento del prezzo, al fine di rendere effettivo il secondo principio dell'art. 1101 comma 2 c.c., in tal caso, come dovrebbero precedere ? L'eventuale atto che andranno a sottoscrivere quale natura giuridica potrà avere ?

Sicuramente un tale atto di "riadeguamento" delle quote è ammissibile (nel senso che è meritevole di tutela), inoltre, si può aggiungere, che se la comunione comprende (in tutto o in parte beni immobili) l'atto di riassegnamento delle quote dovrà avere forma scritta, se, invece, la comunione comprende solo beni mobili, un tal atto potrà anche non avere una forma scritta, ma sarà di difficile da provare.

Di difficile individuazione è, invece, la natura giuridica di questo negozio giuridico, infatti, potrebbe essere un mero atto di accertamento, (in cui le parti in cui si danno atto della reale quantificazione delle diverse quote), ma, in tal caso, si dovrebbe verificare se un negozio di accertamento è compatibile con il trasferimento di una parte della titolarità del bene.

Oppure, si potrebbe effettuare una donazione di parte di una quota (se esiste la volontà e la forma a donare), oppure una prestazione in luogo dell'adempimento in cui il contitolare che non ha pagato la parte a suo carico del prezzo, trasferisce, in estinzione del suo debito (e quindi, a saldo del credito dell'altro contitolare) una parte della sua quota sul bene.

Secondo la Cassazione n.15640 del 2012 potrebbe esserci un peculiare contratto (transazione ?) con una propria causa, in cui a fronte del "riconoscimento" delle diverse quote sul bene in comune, i contitolari paghino (ricalcolandole) le spese di gestione, presenti, passate e future, in base alle quote individuate nell'atto, anche obbligandosi a pagare o versando i relativi conguagli per le somme pagate in proporzione diversa dalle quote indicate. In tale ipotesi, è interessante notare, che non ci sarebbe un prezzo per il trasferimento di una parte della quota, ma il "prezzo" o il "corrispettivo" del trasferimento di una parte della quota sarebbe determinato dal rimborso delle spese (presenti, passate e future) ripartite in modo diverso.

Cassazione civ. sez. II, 18 settembre 2012 n. 15640

Con il terzo motivo il ricorrente principale denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2720, 1343, 1346, 1350, 1353 c.c. e 113 c.p.c., nonché il vizio di motivazione, per avere la corte nell’interpretare la scrittura privata come “dichiarazione ricognitiva” attribuito alla stessa effetti costitutivi di un negozio giuridico, senza neanche indicare quale sarebbe il precedente negozio riconosciuto ed il titolo in forza del quale la M. sarebbe divenuta proprietaria per 6/7 ed il P. per 1/7. Infatti l’atto ricognitivo non potrebbe avere efficacia novativa rispetto alla compravendita del 30.5.1995, non rispondendo al modello tipico della fattispecie legale di cui all’art. 2720 c.c. In altri termini, l’interpretazione della scrittura privata come atto ricognitivo non ne avrebbe legittimato gli effetti dispositivi, essendo i precedenti della corte di legittimità invocati nella decisione impugnata relative a fattispecie affatto diverse. Prosegue il ricorrente principale che erroneamente la corte distrettuale avrebbe riconosciuto la causa giuridica del negozio traslativo nel riconoscimento della diversa misura degli esborsi sostenuti dalle parti per l’acquisto, anche perché il P. aveva contribuito all’acquisto con il pagamento del prezzo in misura notevolmente superiore ad un settimo. Aggiunge il ricorrente principale che le parti si erano determinate alla sottoscrizione dell’atto sul presupposto – poi rivelatosi inesistente – della sussistenza delle circostanze della separazione personale consensuale, venute invece meno. Con il quarto motivo viene lamentata la nullità della sentenza per incoerenza della motivazione e per contrasto fra motivazione e dispositivo, in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., giacché pacificamente l’atto ricognitivo non sarebbe assimilabile, né quanto a natura né quanto ad effetti, al contratto, l’uno escluderebbe l’altro.
Le censure – che per la loro stretta connessione, essendo l’una l’antecedente logico dell’altra, vanno esaminate congiuntamente – sono prive di pregio.
È principio giuridico costantemente affermato da questa corte (v. ex multis, le sentenze n. 28 gennaio 1996 n. 301; Cass. 20 giugno 2000 n. 8365; Cass. 16 gennaio 2004 n. 631; Cass. 13 ottobre 2004 n. 20198), quello secondo il quale la possibilità di attribuire efficacia costitutiva ad una dichiarazione ricognitiva dell’altrui diritto dominicale su un bene immobile, presuppone che anche la causa della dichiarazione risulti dall’atto, atteso che, trattandosi di un bene immobile per il cui trasferimento è necessaria la forma scritta “ad substantiam”, tutti gli elementi essenziali del negozio debbono risultare per iscritto.
È certo, infatti, secondo il sistema del diritto privato, che l’atto ricognitivo di diritti reali non può essere ricompreso tra i mezzi legali di acquisto della proprietà, configurandosi invece come semplice atto dichiarativo che, in quanto tale, presuppone che il diritto stesso effettivamente esista secondo un titolo, onde, in difetto di tale titolo, che ne attesti e provi, secondo le forme ed i mezzi previsti dall’ordinamento, l’esistenza, esso non può crearlo e nemmeno rappresentarlo, se non a quest’ultimo effetto, attraverso l’esplicito richiamo e la menzione del titolo stesso.
Nella scrittura privata del 15.12.1996 le parti, richiamato l’atto pubblico, nel quale entrambi i contraenti risultavano già comproprietari dell’immobile (per cui la contitolarità era già attestata nel rogito), hanno specificamente pattuito solo il riconoscimento di una diversa attribuzione delle quote del bene in comune. La corte di merito ha accertato che l’atto in contestazione assolveva sia alle esigenze di forma sia della causa del negozio, vale a dire del trasferimento pro-quota della proprietà, ravvisata nel rispetto delle quote contributive per l’acquisto e ristrutturazione dello stesso appartamento e per tale ragione ha riconosciuto efficacia vincolante all’asserita “ricognizione”, affermandone il valore come titolo di acquisto della maggiore quota di comproprietà in capo alla resistente, che per l’effetto avrebbe dovuto concorrere alle spese di gestione del bene in proporzione alla maggiore proprietà, come peraltro concordato.

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Avvocato, Foro di Napoli, specializzazione Sspl conseguita presso l'Università “Federico II”; Mediatore professionista; Autore di numerose pubblicazioni in materia di diritti reali, obbligazioni, contratti, successioni. E' possibile contattarlo scrivendo a diritto@fanpage.it.
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