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Più di 3000 lingue e dialetti in via d’estinzione: ma la poesia può salvarli

Lo affermano gli studiosi del Southbank Center: salvare le migliaia di lingue in via d’estinzione nel mondo è possibile. Il miglior modo? La poesia.
A cura di Federica D'Alfonso
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Manoscritto medievale in dialetto sardo.
Manoscritto medievale in dialetto sardo.

L'Endangered Poetry Project è stato lanciato qualche settimana fa durante il National Poetry Day organizzato dalla Biblioteca Nazionale di Poesia del Southbank Center. L'obiettivo? Quello di riflettere sull'estremo valore culturale delle migliaia di lingue in via d'estinzione nel mondo.

Una situazione, quella delle lingue in via d'estinzione, da non sottovalutare. Gli esperti hanno stimato che nel giro dei prossimi 85 anni oltre 3 mila e cinquecento lingue spariranno definitivamente. La dottoressa Mandana Seyfeddinipur, responsabile del progetto, spiega come “stiamo perdendo le lingue alla stessa velocità con la quale il mondo ha perso i dinosauri alla quinta estinzione di massa".

Salvare il linguaggio con la poesia

Il progetto lanciato dalla Biblioteca del Southbank Center tenta di arginare questo pericoloso processo attraverso il recupero delle tradizioni letterarie, sia scritte che orali, in un grande archivio. Uno strumento non casuale, quello della poesia: oltre alla lingua vera e propria, con le sue assonanze e i suoi giochi di parole, il linguaggio poetico infatti ha la capacità di veicolare tradizioni, culture, usi e costumi dei parlanti in modo diretto.

Sono tanti gli scrittori e i poeti coinvolti nel progetto: come l'iracheno Nineb Lamassu, che ha scritto una poesia in un antico dialetto accadico, e l'ugandese Nick Makoha, che ha invece scelto come tramite l'antica lingua lugandese. Partecipa al progetto anche la poetessa Joy Harjo, una delle più importanti voci delle popolazioni native americane stanziate nello stato dell'Oklahoma, che ha dichiarato come la lingua sia un atto “profondamente politico. I miei ricordi, il significato di ciò che vuol dire essere nativo americano, i miei luoghi e la storia del mio popolo sono tutti conservati nella lingua”.

Secondo gli esperti che in questi giorni stanno esaminando le migliaia di poesie raccolte, le parole rivelano molto di più di quello che pensiamo circa le popolazioni che le parlano: in numerose poesie giunte dalla Sardegna, ad esempio, ricorrono le stesse descrizioni dei monti e dei paesaggi. “Una testimonianza importante del modo di vivere e relazionarsi all'ambiente circostante”, ha spiegato Chris McCabe, un altro studioso coinvolto nel progetto.

“La lingua è una forma di resistenza”, afferma la Harjo. “ È curioso che tantissimi cittadini americani siano ancora oggi considerati ‘non americani' solo perché non parlano l'inglese, dal momento che l'inglese non è la lingua indigena delle Americhe ma un linguaggio imposto dai colonizzatori. Per questo, continuare a parlare la propria lingua tribale è molto di più che un semplice atto di memoria: è un atto di sovranità e di amore verso se stessi e il proprio popolo”.

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