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Perché non riusciamo a toglierci dalla testa OH MA di Rocco Hunt e Noemi

Si parte dal napoli Sound per approdare alla musica latina, e alcune caratteristichedi questi due suoni rendono OH Ma di Rocco Hunt e Noemi una canzone che difficilmente si toglie dalla testa.
A cura di Federico Pucci
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Rocco Hunt e Noemi
Rocco Hunt e Noemi

Fra i molti modi in cui si può leggere la storia della musica popolare italiana dal dopoguerra a oggi, c’è il rapporto complesso tra una tradizione melodica potentissima e l’eredità del ritmo, giunta principalmente dall’esempio americano (cioè, afroamericano). Nessuno snodo nevralgico della canzone italiana può rappresentare meglio di Napoli questa storia di simbiosi e conflitto, coesistenza e allontanamento, conservazione e contaminazione: la città dove ancora regnano sovrani gli interpreti melodici, è anche il luogo dove afrobeat, funk, R&B e jazz hanno trovato il terreno più fertile per generare un suono ibrido e nuovo. Una tradizione nobile che da qualche tempo viene raccolta sotto l’etichetta del Napoli Sound, e che ha ben più di una responsabilità nel funzionamento di OH MA, il singolo in cui Rocco Hunt e Noemi uniscono le forze nella speranza di un po’ di gloria estiva.

Non sarebbe possibile riassumere in poche righe la lunga storia dei contatti tra musica afroamericana e musica napoletana, una catena di eventi e situazioni che richiede una mappatura più frattale di quella delle insenature di un golfo. Basta dire in questa occasione che a cavallo tra anni ‘70 e ‘80 la disco music ha portato una ventata di groove in città, dai piani alti dei musicisti affermati fino a un sottobosco sterminato di nomi semisconosciuti. La almeno decennale rinascita del cosiddetto Napoli Sound arriva sulla scia della riscoperta di questa particolare fase creativa, che ha unito l’alto e il basso, l’avanguardia pop e l’underground più commerciale di una città piena di canzone e di ritmo allo stesso tempo.

L'eredità del Napoli Sound

Progetti come Napoli Segreta, di Lorenzo Sannino e Gianpaolo Della Noce, hanno riportato alla luce in particolare le perle oscure di questa storia e nel 2018 questo lavoro si manifestò in una compilation realizzata con i Nu Genea (Massimo Di Lena e Lucio Aquilina), i quali a loro volta avrebbero ricreato da zero il suono di quell’epoca lo avrebbero ricreato nel disco Nuova Napoli. (Un secondo volume di Napoli Segreta sarebbe uscito poi nel 2020, alle soglie della pandemia).

Questa brevissima introduzione al revival Napoli Sound non basta per descrivere l’attaccamento di parte della città a un suono che ha spesso, anche in tempi non sospetti, sconfinato nel resto d’Italia e prodotto musica eccellente, dai Fitness Forever a Pellegrino, da Bassolino per tornare ai già citati Nu Genea. E proprio qui sta la prima ancora che aggancia OH MA alla nostra coscienza di ascoltatori. Con una produzione firmata ITACA chiaramente erede di questo “sound”, la canzone di Rocco e Noemi aggancia un trend sotterraneo ma solido, abbeverandosi della sua credibilità e freschezza. Questo processo di appropriazione (in questo caso intraculturale) è comune a moltissime hit mainstream, programmate per vampirizzare le energie di una sottocultura più vivace.

Il richiamo al nume Pino Daniele

Si sente il richiamo a un’eredità culturale comune: il salernitano Rocco Hunt mette in mostra e condivide con orgoglio le ricchezze culturali della sua regione, e per inchiodare al cervello questa discendenza musicale cita il nume Pino Daniele. Così, se pure ci mancasse il contesto della storia del Napoli Sound, saremmo in grado di percepire una certa profondità del discorso: questa canzone non viene dal nulla, e così pur nella sua eventuale novità ci sembrerà ancorata a una familiarità (eccole, le due chiavi di ogni successo). A questa sensazione contribuisce la piuttosto doviziosa curatela timbrica del team produttivo: scegliendo suoni di basso, batteria e chitarra e arrangiando le loro parti con un gusto dichiaratamente rétro, Merk & Kremont e tutti gli altri autori (Federica Abbate e Jacopo Ettorre, tra gli altri) ci portano fuori dall’attualità, in una fantasia che incanta anche per il suo contenuto subliminale di storia.

L'importanza del basso elettrico nella canzone

L’elemento più chiaramente Napoli Sound dell’ensemble strumentale è il basso elettrico. Con una linea imbizzarrita di due battute ripetuta in loop, un capitombolo melodico che rotola sulla scala pentatonica nella prima battuta e fa un tipico balzo di ottava nel movimento armonico della seconda battuta, il basso di OH MA sembra non lasciare nemmeno un momento libero per respirare: la parola d’ordine è dinamismo, e il nostro corpo è spontaneamente invitato a ingaggiare fisicamente con le scansioni metriche di questa parte strumentale. Linee di basso del genere, discese dall’insegnamento di maestri come Leon Sylvers III, svolgono una funzione non solo ritmica, per quanto complessa (un intero scheletro perfettamente segmentato, piuttosto che una semplice spina dorsale, potremmo dire con metafora anatomica), ma anche melodica: il movimento sul pentagramma, infatti, riecheggia l’inciso cantato, come se lo volesse raddoppiare. In questo modo, partecipare alla canzone ballando il groove o intonando la parte cantata ha lo stesso esito: coinvolgerci direttamente, come se ogni parte del nostro ascolto attivo fosse necessario alla costruzione di quel che stiamo ascoltando.

Da Napoli al suono latino

Il basso spadroneggia, insomma, e come un direttore d’orchestra ci istruisce sui momenti in cui dobbiamo fermare il motore ritmico nella tipica costruzione dell’attesa del drop delle produzioni EDM, di cui parlammo già a proposito di Geolier, o quando dobbiamo ricaricare le pile per il ritornello con una bella discesa profonda e gorgogliante (senti sotto “vola una tovaglia bianca”). Ma tra i molti piccoli ganci strumentali che stuzzicano l’orecchio, le chitarre svolgono altri due ruoli intriganti: da una parte, un’elettrica stracciata tiene il tempo e l’armonia con pennate alla Nile Rodgers, rinsaldando l’eredità disco e rafforzando la gabbia metrica del brano; dall’altra uno strumento risonante e decisamente più caraibico nel tono disegna un piccolo contro-motivo che suggella la seconda battuta del loop. In questo modo OH MA, mentre continua a occhieggiare il Napoli Sound, si ricollega a un fattore latino che – abbiamo visto una settimana fa – sembra saldato alle nostre orecchie.

Mentre cerchiamo di collocare l’origine di queste reminiscenze sonore, veniamo tirati definitivamente in mezzo alla proverbiale pista da un giro di accordi stretto, incredibilmente efficiente, una macchina per il moto perpetuo interamente in minore. Se vuoi far caso a come questi accordi si incastrano bene tra loro, prova a sentire la prima parte del refrain di Hot Stuff di Donna Summer (tanto per citare un altro tormentone mica male): più che un giro, insomma, dovremmo parlare di una catapulta armonica in continua tensione e rilascio.

Una canzone tra ritmo e melodia

L’arrangiamento rispecchia perfettamente questa frenesia: a parte un paio di colpi di tom e qualche breve silenzio, non notiamo differenza tra ritornello e seconda strofa. La canzone, cioè, non vuole prenderci per mano lungo uno sviluppo tematico quasi narrativo, ma buttarci nella mischia del groove, inteso come il dominio del tempo attraverso minuscole suddivisioni e miriadi di piccoli colpi e stimoli – lo spiegammo già parlando dei The Kolors, una band che con altrettanta se non superiore attenzione ha sviscerato il funzionamento di funk e disco nel presente. Anche in questo senso OH MA funziona: perché si riaggancia a quella pulsione nascosta che percorre sotto terra la storia della musica italiana, lacerata tra ritmo e melodia. Combinando le forze nascoste di italo disco, Napoli Sound, latin pop maccheronico, dance elettronica e hip-hop, OH MA ci sovrasta con un truismo musicale, che del resto il testo stesso ci vuole comunicare: perfino nella terra del canto, non si può resistere alla voglia di ballare. Un po’ come all’amore, o a un tormentone.

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