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Perché inneggiare al fascismo non è più considerato un tabù?

Chi ha paura del fascismo? E perché è tornato così “di moda”? Ma soprattutto per quale motivo in Italia nel 2021 inneggiare al fascismo non è più comunemente considerato un tabù o un crimine benché, come diceva il Signor G, il fascismo non è un’opinione e chi lo pensa oltre a delinquere è anche un grandissimo coglione?
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Chi ha paura del fascismo? E perché è tornato così “di moda”? Ma soprattutto per quale motivo in Italia nel 2021 inneggiare al fascismo non è più comunemente considerato un tabù o un crimine benché, come diceva il Signor G, il fascismo non è un’opinione e chi lo pensa oltre a delinquere è anche un grandissimo coglione?

Io, che di professione scrivo e faccio il comico, quando quando guardo alla realtà, in qualunque forma essa si presenti, istintivamente applico un filtro di satira e ponendomi questa domanda, mi sono risposto che un ritorno al fascismo nei personaggi macchiettistici che oggi si presentano sulla scena nazionale (Luca Traini, Giuliano Castellino o il barone Lavarini) sarebbe davvero ridicolo se non fosse terribilmente tragico e pericoloso perché il rischio che in Italia ci sia “un’involuzione in senso fascista della società e della cosa pubblica” o addirittura si stia compiendo, direi che è sotto gli occhi di tutti e tutte. Ed è un problema che va affrontato e risolto senza più alcuna esitazione, da destra e da sinistra.

“È tutto un magna magna”, “È tutta colpo loro, hanno rovinato l’Italia”(chi? chi sono questi loro?), “Si comincia mangiando kebab e si finisce togliendo i crocefissi dalle scuole”, “Io non sono razzista ma…”, “Per me ognuno è libero di fare quello che vuole ma…”(e c’è sempre un “ma” alla fine di ogni frase razzista, sessista, omofoba e fascista), "Se esci vestita così poi però non ti lamentare se ti stuprano", “La famiglia è fatta da un uomo e una donna che poi fanno figli!” (ovviamente meglio se maschi etero e bianchi e sia chiaro che sono ironico),  “Ci sono le buche e le strade fanno schifo però il sindaco il suo stipendio se lo prende”, “È tutto un complotto”, “Chiamate Striscia!” (questa è una delle mie preferite), “Aiutiamoli a casa loro”, “Basta partiti e partitini ci vuole qualcuno che abbia le palle!” ma soprattutto: "Il suffragio universale è sopravvalutato".

Quante volte abbiamo sentito o addirittura pronunciato (vabbè io solo una) queste parole? E quante volte le abbiamo sentite da esponenti istituzionali che viceversa avrebbero il dovere di argomentare, comprendere e trovare soluzioni piuttosto che lanciare slogan fini a se stessi? È vero spesso sono battutacce dette per sfogo ma sono anche il sintomo di un male più grande, di uno strano populismo qualunquista che si è insinuato in questi anni in ognuno e ognuna di noi, che lo si voglia o meno: mi verrebbe da dire che è il risultato di trent’anni di Berlusconismo, di edonismo, di commercializzazione delle menti e dei corpi ovvero del grande disegno della P2, il Progetto Rinascita”. E lo direi senza tema di smentita perché sono i fatti (con relative prove e documenti) che si incaricherebbero di darmi ragione ma in un tempo in cui ogni opinione espressa – e attenzione ho detto opinione e non fatto – diventa verità e in cui tutta l’opinione pubblica è polarizzata, un argomento del genere rischierebbe di finire nel calderone degli “ismi”.

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Quando ero un ragazzino che si avvicinava per la prima volta al cosmo della politica, delle lotte e delle manifestazioni – e ormai sono passati, ahimé, quasi trent’anni – il fascismo non era una possibilità: certo se ne parlava, certo si tenevano assemblee di istituto per parlarne, certo c’erano i naziskin ma si partiva tutte e tutti da una base comune, da un antifascismo più o meno moderato comune persino alla Democrazia Cristiana e quei pochi che millantavano idee fasciste, non le sbandieravano, non si proponevano come alternativa, non urlavano in piazza a chiunque la loro rabbia. Il fenomeno c’era, ovviamente, anche perché non si è mai purtroppo estinto, ma certe “idee” la maggior parte delle persone le considerava ripugnanti o quantomeno di sicuro si vergognava ad esternarle. Purtroppo negli ultimi anni, "alcune idee che sono state sempre ai margini del dibattito pubblico, considerate come letture filosofiche e politiche di terza categoria, buone al massimo per qualche casa editrice complottista o per un giornalino di sedicenti nostalgici, da qualche anno ricevono le attenzioni di case editrici importanti, magari attraverso divulgatori più o meno scaltri o hanno spazio nei giornali e nelle tv e formano il pensiero e la retorica di esponenti politici nazionali" per citare Christian Raimo.

I vari populismi italiani che negli ultimi anni si sono affacciati sulla scena nazionale (penso a Berlusconi, Grillo o Salvini) si sono indebitamente appropriati dell’appartenenza al popolo, si sono professati unici esponenti delle lotte popolari: un populismo di destra che ha banalizzato o addirittura ridicolizzato (Berlusconi che pulisce la sedia sulla quale era seduto Travaglio prima di sedercisi) il dibattito pubblico, che ha creato un inedito quanto ottuso antintellettualismo (“io non ho studiato ma ho lavorato tutta la vita” o meglio ancora “io ho studiato all’università della strada”), che ha trovato in una piccolissima percentuale di persone socialmente deboli (i cosiddetti “migranti” africani che rappresentano – dati Istat alla mano – meno del 2 per cento dell’intera popolazione nazionale) i perfetti capri espiatori per la crisi sociale, che ha trasformato l’ostilità, il grido e la sopraffazione in una pratica democratica ormai diffusa, che ha tirato fuori dalla pancia nascosta del paese un’ottusa e orribile xenofobia che si scontra con il multiculturalismo di una società globale alla quale andremo incontro, che ha magicamente sviluppato un analfabetismo morale che se la prende con il politicamente corretto come se amare il prossimo non fosse un messaggio universale che attraversa la storia ma “una roba da mammolette radical chic”, che ha sdoganato omofobia e sessismo elevati a “pensiero libero” piuttosto che a crimini contro l’umanità, che ha lentamente eroso la nostra memoria storica.

Tutto questo e molto altro ancora – se anche solo pensiamo alla contrapposizione tra provax e novax – è stato in grado di svuotare il campo della politica dai conflitti reali. E in questa intercapedine d'assenza si sono insinuate le idee fasciste e neofasciste, che, in questa cloaca populista e qualunquista, miracolosamente non sembrano più ridicole e solo nostalgiche,"come invece è accaduto per tutti i decenni in cui l’antifascismo è stato la religione civile della repubblica italiana e la sua fonte principale di cultura politica, a partire dalla scrittura della costituzione" e apparentemente perdono le loro fortissime contraddizioni nel momento in cui alcuni loro "migliori" rappresentanti urlano "Libertà" e lottano contro "la dittatura del pensiero unico" (ma come contro la dittatura?).

E gli esempi reali non sono pochi se pensiamo a Luca Traini, alle manifestazioni di questi giorni con esponenti fascisti di Forza Nuova e Lealtà e Azione ad arringare le folle o agli infiltrati nella destra istituzionale o ai razzismi alla Salvini ma anche se pensiamo a Minniti e agli accordi con la Libia, profondi attacchi contro i più basilari princìpi democratici e umanitari. Il male torna ad essere banale, l'orrore normale.

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E attenzione con questo non sto facendo un’apologia dei miei tempi, non sono ancora diventato così vecchio per dire “quando ero giovane io le cose andavano meglio”, no! Il mondo è cambiato, per certi aspetti si è evoluto, ma lo sdoganamento del fascismo come alternativa politica è purtroppo una realtà di questi tempi e, a quanto pare, il risultato è che “oggi il tentativo del neofascismo di creare un’egemonia culturale è meno ostacolato”, forse perché non abbiamo oramai più testimoni diretti, forse perché il racconto si è reso ripetitivo e svuotato dei suoi contenuti originali, forse perché la mamma degli idioti è sempre incinta o forse, e purtroppo, perché come diceva Pietro Gobetti il 23 novembre del 1922, a nemmeno un mese dalla marcia su Roma e molto tempo prima dei gloriosi anni ’90 della mia adolescenza, il fascismo è “l’autobiografia di una nazione” innamorata del suo infantilismo politico. A quanto pare il fascismo è un fenomeno che attraversa la storia: un po’ come il nero (appunto) che sta bene su tutto e in qualunque epoca, purtroppo per noi però il fascismo non è un vestito e nonostante tutto sta comunque tornando terribilmente di moda.

E cosa possiamo fare? È un’altra domanda che mi assilla e alla quale non so dare risposta se non mandare i fascisti su Marte. Ma di una cosa sono assolutamente convinto: per far qualcosa dobbiamo tirarci fuori da questa ottusa tendenza a polarizzare ogni discussione, a dividere i campi fra opposte fazioni, dovremmo riprendere il buon costume di metterci nei panni – o costumi appunto – degli altri e delle altre. "Occorre leggere i neofascisti e combatterli, sul piano delle idee e sul piano dell’impegno personale. Altrimenti il rischio è che diventi un duello tra anime belle e anime brutte, e non è detto nemmeno che vincano le prime." E ricordare sempre, come diceva Corrado Guzzanti, che "è facile fare i fascisti in uno stato democratico, provate a fare i democratici in uno stato fascista".

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