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Perché dire ‘monòlito’ è più corretto che dire ‘monolìte’?

Monolìte, monolìto, monòlito: descrive un blocco unico di pietra. Quale che sia la vostra opzione di grafia e pronuncia ci sono vantaggi e svantaggi, e ancora una volta è difficile tagliare il giusto dallo sbagliato. Possiamo però vedere come è che saltano fuori queste diverse versioni, e perché una è etimologicamente meglio giustificata.
A cura di Giorgio Moretti
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Nella seconda metà dell'Ottocento questa era considerata una parola specialistica, "del linguaggio scientifico e erudito" (annota Tommaseo), e invece, anche se non è proprio diventata una di quelle che abbiamo sempre in bocca, si è fatta largo anche in ambiti più generici: non è proprio pop ma non suona nemmeno più ricercatissima.

Curioso: parlandoci di formazioni di roccia uniche, di masse di pietra d'un solo pezzo, all'inizio non si affaccia in italiano dal lessico della geologia, ma da quello dell'architettura. Sono gli ornamenti monolitici ad essere il primo riferimento, quegli elementi di pregio e costosissimi non costituiti da piccoli pezzi tenuti insieme da malte, ma ricavati da un corpo unico. Si può ammirare l'arco monolitico finemente decorato a motivi floreali, la colonna non è composta di rocchi sovrapposti ma è un monolito, la vasca del palazzo è scavata in un monolito di granito.

Monolito. Ma non è più comune la dicitura ‘monolite'? Sicuramente è molto diffusa. Ebbene, qualcuno avrà idea che si tratti di una parola di origine greca: monòlytos, che già significava ‘fatto di un sol blocco di pietra' è evidentemente composto di mono- ‘uno' e lithos ‘pietra'. A noi arriva attraverso il latino tardo monòlithus, che come vediamo conserva l'accentazione sducciola, sulla terzultima sillaba. Quando nel Settecento, come dicevamo, il termine viene fatto proprio dall'italiano, è aderente alla grafia e all'accentazione originale: monòlito. Questa grafia e questa pronuncia sono quindi quelle da considerarsi più corrette, secondo un parametro storico ed etimologico.

Oggi ci si preoccupa molto dell'influenza dell'inglese sull'italiano, ma non si conserva bene memoria di quale sia stata quella del francese: la maggior parte dei francesismi non si percepisce nemmeno più come tale, e sono un numero impressionante. Ecco, ‘monolìte' è un francesismo: si rifà al francese monolithe (pronunciato grossomodo monolìt), da cui mutua la ‘e' finale e si fa suggestionare per l'accentazione piana. Magari dire e pronunciare ‘monolìte' era un vezzo d'antan, ora è una semplice variante.

Il problema è che non si può affermare con sicurezza "Devi dire ‘monòlito' perché è la variante più corretta". Lo sarebbe, certo, ma per la sua diffusione recessiva può risultare disorientante, non essere capito, o essere inteso come un'ostentazione affettata. Dicendo ‘monolìte' si verrà capiti più facilmente, si trasmetterà il concetto e non si stupirà nessuno, tranne (in negativo) i dotti che sanno che si dovrebbe dire e scrivere ‘monòlito'. Insomma, ancora una volta non c'è una regola di correttezza valida in assoluto, in astratto: dipende tutto dal contesto. In un contesto formale (magari anche in genere per iscritto, dove la variazione si limita alla vocale finale, senza che si aggiunga anche l'accentazione diversa) è senz'altro meglio scrivere e dire ‘monolito': lo richiede la linearità etimologica e ci fa fare un figurone. Altrimenti dire o scrivere ‘monolite' non ucciderà comunque nessuno, anzi: invalendo sempre più l'uso di questa variante, la consuetudine si farà sempre più forte e radicata.

Ah, ‘monòlito' all'orecchio suona strano? Piace poco? Serve una terapia d'urto, come un bell'audiolibro di "2001: Odissea nello spazio", in cui il termine ‘monòlito' verrà ripetuto centinaia di volte fino a farlo suonare normale. Di solito i narratori optano sistematicamente per le pronunce raccomandate dal Dizionario d'Ortografia e di Pronunzia.

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Nato nel 1989, fiorentino. Giurista e scrittore gioviale. Co-fondatore del sito “Una parola al giorno”, dal 2010 faccio divulgazione linguistica online. Con Edoardo Lombardi Vallauri ho pubblicato il libro “Parole di giornata” (Il Mulino, 2015).
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