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Giornata mondiale dell’Uomo nello Spazio: il primo non fu Gagarin, bensì un antico greco

Ogni 12 aprile si celebra in tutto il mondo la Giornata dell’Uomo nello Spazio: si tratta proprio del giorno in cui, nel 1961, il sovietico Yuri Gagarin volava per la prima volta nell’orbita terrestre. Una tappa importante per l’umanità, che però a ben vedere non fu nuova per l’uomo: un altro viaggio, immaginario e filosofico, avvenne nel II secolo dopo Cristo, e a farlo fu Menippo di Gadara. Ce lo racconta Luciano di Samosata.
A cura di Federica D'Alfonso
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Oggi, 12 aprile, si celebra la Giornata Mondiale dell'Uomo nello Spazio.
Oggi, 12 aprile, si celebra la Giornata Mondiale dell'Uomo nello Spazio.

Il 12 aprile è la Giornata mondiale dei Viaggi dell’Uomo nello Spazio: in questo stesso giorno, nel 1961, il cosmonauta sovietico Yuri Gagarin raggiungeva per la prima volta l’orbita terrestre e guardava da lassù la Terra, “bellissima e senza confini”. Ma l’avventura dell’uomo nello spazio non inizia nel Novecento: fin dall’antichità il suo sguardo si è spinto più volte oltre le stelle, vedendo più chiaramente, attraverso di esse, la propria realtà. A descrivere per primo questa scoperta fu Luciano di Samosata: fu lui, nel II secolo, a scrivere del “primo” viaggio dell’uomo nello spazio.

L’Icaromenippo: il primo uomo nello spazio

Tosto che io feci un po' di riflessione sulla vita umana, trovai che le ricchezze, le signorie, le grandezze sono instabili, ridevoli, meschine assai: onde sprezzandole, e tenendole come un impaccio a conseguire altre cose veramente serie, io tentai di levar gli occhi in su, e di rimirar l'universo.

Si tratta ovviamente di un viaggio immaginario, attraverso il quale la vena irriverente di Luciano dispiega tutta la sua potenza. L’Icaromenippo, conosciuto anche come “Uomo sopra le nuvole” o “Passanuvoli”, ha come protagonista, non a caso, il cinico Menippo di Gadara, famoso nell'antichità per essere l’iniziatore del genere satirico. Attraverso la voce di questo inusuale Icaro, si racconta un viaggio fantasioso attraverso le nuvole e i pianeti per giungere al cielo degli dèi.

Un Icaro, Menippo, molto più furbo: anziché di cera, il filosofo si procura le ali autentiche di un’aquila e un avvoltoio. “Ci son volato con le penne mie”, dice l’uomo all'amico incredulo, raccontando la propria avventura. La scelta dei due volatili non è casuale: nell'economia generale della narrazione satirica, la scelta di due animali diversi è una metafora del fatto che, per elevarsi alle cime del sapere, bisogna necessariamente dotarsi di due punti di vista complementari.

Il discorso della Luna: la critica all'umanità

Il viaggio di Menippo prosegue fino ad arrivare oltre la Luna. E quando giunge ad incontrare la splendida signora bianca, si ha forse una delle parti più poetiche e toccanti dell’intero testo. Salutandolo e augurandogli un buon viaggio, la Luna chiede all'uomo di portare un messaggio a Zeus:

Non m'era levato uno stadio, e la Luna, con una vocina di donna: O Menippo, disse, fa' buon viaggio, e portami un'ambasciata a Giove. (…) L'ambasciata è facile, disse, è una preghiera che da parte mia presenterai a Giove. Io sono stucca, o Menippo, di udire i filosofi che ne dicon tante e poi tante di me, e non hanno altro pensiero che d'impacciarsi de' fatti miei, chi son io, e quanto son grande, e perché ora sono scema ed ora son piena: chi dice che sono abitata, e chi che son come uno specchio pendente sul mare, ed ogni sciocchezza che pensano l'appiccano a me. Han detto finanche che questa luce non è mia, ma è roba rubata, e me l'ho presa dal Sole; e non la finiscono, e per questo mi faran bisticciare e venire alle brutte con mio fratello; non essendo contenti di sparlare del Sole, che è una pietra, e una palla di ferro rovente.

Un messaggio molto particolare che, come tutta l’opera, attraverso le stelle parla di noi.

Eppure io so molti dei fatti loro, e quante vergogne e sporcizie fanno la notte questi che il giorno paion santoni all'aspetto ed alle vesti, e gittano la polvere agli occhi degl'ignoranti. Io vedo tutto, e taccio, perchè credo che non mi conviene a me illuminare le loro tresche notturne, e svelar quasi su la scena i fatti di ciascun di loro: anzi se ne vedo qualcuno che commette adulterio, o furto, o altra ribalderia che vuole il più fitto buio, io subito prendo una nuvola e me ne ricopro, per non mostrare agli uomini questi vecchi che svergognano la barba e la virtù. Eppure non la voglion finire, e parlan sempre male di me, e mi dicono ogni maniera d'ingiurie. Onde io, giuro alla Notte, molte volte volevo proprio andarmene di qui, fuggire il più lontano da essi per non sentirmi più tagliare da quelle male lingue.

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