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Ecco chi ha cacciato Riccardo Muti

A cacciare Muti dal podio dell’Opera di Roma non sono stati gli scioperi degli orchestrali, “esempi di un corporativismo deleterio” come alcuni giornalisti liberi – e della sinistra illuminata – vogliono farci credere, ma le responsabilità di chi, invece di migliorare la qualità dell’offerta musicale, vuole precarizzare il teatro italiano e tutto il settore culturale, abbassando oltre ogni limite il livello artistico delle programmazioni e rendendo del tutto impossibile (e sconveniente) per uno dei più grandi Maestri al mondo salire sul podio e dirigere con serenità.
A cura di Luca Iavarone
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Leggendo le opinioni di Filippo Facci nel suo ultimo e sprezzante articolo contro quelli che chiama i "Cobas del violino" non mi sono affatto stupito di un tono così canzonatorio da parte del giornalista di Libero. Le sue invettive, in fondo, non fanno che cercare il consenso di una grande fetta di italiani e probabilmente di tutti i suoi lettori. Critiche riassumibili brevemente così: gli orchestrali sono tra le categorie più pagate e privilegiate al mondo, non lavorano o lavorano pochissimo, prendono indennità ingiustificate e per di più criticano la spending review del bravo Sovrintendente (tanto che persino il bravo Sindaco se n'è dovuto lamentare). Napalm sui sindacati è, infine, l'elegante chiusura del suo articolo spumeggiante.

Non mi sono stupito, anche perché sono stato a contatto per anni con il mondo della musica, come studente e come appassionato, e so perfettamente quanti ostacoli un aspirante musicista in Italia trovi sul suo cammino professionale. I conservatori fatiscenti, gli insegnanti di istituti di "alta formazione" che sono del tutto inadeguati al loro ruolo, la maxi truffa che ha voluto equiparare i conservatori alle università con l'unico obiettivo di estorcere cifre esorbitanti agli studenti abbassando in maniera vergognosa il livello della formazione accademica, la soppressione delle orchestre, i licenziamenti, i pensionamenti a cui non sono seguiti regolari concorsi con l'intento palese di rendere sempre più precario il ruolo dell'orchestrale, ovvero di ciò che dovrebbe essere il più alto grado dell'eccellenza musicale.

Nemmeno ciò mi stupisce, ad essere sincero, e questo perché sono nato e cresciuto in Italia, un paese che ha progressivamente distrutto la sua storia musicale, e aggiungerei culturale, con metodo. In Italia non c'è spazio per la musica di qualità, e non si ha la minima intenzione di rendere le orchestre al pari di quelle mondiali, di dare strumenti formativi competitivi a livello internazionale ai giovani, di salvaguardare il nostro patrimonio. Il Patrimonio, che non è un elenco polveroso di opere in repertorio da rappresentare allo sbarco di turisti inesperti, dopo il caffè e prima della pizza. Il Patrimonio è (dovrebbe essere) la maniera in cui i brani e le opere vengono suonate. I Berliner, che dopo Karajan hanno scelto Abbado alla loro guida, ci hanno messo decenni per diventare la più grande orchestra del mondo. E questo perché hanno incessantemente lavorato sull'interpretazione, sul "suono berliner", sul loro modo di leggere e interpretare i capolavori, sotto la guida di grandi direttori.

Come può un'orchestra tentare di arrivare all'eccellenza, pensare di raggiungere punte massime di qualità interpretativa se il suo organico viene dimezzato, se non viene pagata (perché, per chi non lo sapesse, i contratti nazionali prevedono paghe da impiegati delle poste, quando i soldi arrivano…), se mancano le seconde parti, se il 30% dei musicisti viene assunto a progetto con contratti precari? Come può un violinista, o un trombonista, essere davvero fautore e partecipe del "suono" di quell'orchestra, se con quell'orchestra non ci ha mai suonato prima? Se è lì solo da una settimana e probabilmente con quell'orchestra non ci suonerà mai più? Come può essere all'altezza di un direttore (giustamente) esigente se con quell'orchestra non ha affrontato un percorso di crescita?

Pensate al gioco del calcio. L'orchestra è come un club. C'è un allenatore di grande talento, come lo era Muti a Roma. Ma come può l'allenatore portare alla vittoria i suoi ragazzi se non ci sono i soldi per pagare i giocatori, se i giocatori cambiano in continuazione, se non c'è il tempo e la tranquillità di allenare e plasmare i calciatori al suo pensiero musicale? Ed è questo che il Maestro Muti voleva intendere nella sua lettera al Sovrintendente, in cui parlava di mancanza di "serenità" necessaria al buon esito delle rappresentazioni. Chi dà la colpa agli orchestrali o finge di non capire il baratro in cui ci stiamo cacciando, o è in cattiva fede.

Non si può credere di rilanciare l'Italia tagliando indiscriminatamente, come da troppi anni si fa, sempre e solo la qualità. Quel che si tenta di fare con gli scellerati disegni politici degli ultimi anni, da destra e da sinistra, è di abbassare il livello di competenza, sia dei musicisti che degli ascoltatori, e di rendere le orchestre né più né meno che delle bande di periferia, adatte al sollazzo di pochi e sempre più incompetenti e ignari ascoltatori.

E non è questione di fede politica, di schieramento. Gli attacchi a ciò che di più caro dovremmo avere vengono più forti anche dalla sinistra illuminata, libera. Addiruttura da un giornalista come Augias, che in prima persona si è occupato di divulgazione musicale, forse consapevole (all'epoca) che la musica sarebbe morta se gli italiani non avessero più capito la differenza tra una Traviata eseguita da una grande orchestra, con alla testa un grande direttore, e una Traviata messa su alla men peggio da un gruppo di incompetenti.

Augias, nel suo commento di mercoledì scorso a una lettera indirizzata a Repubblica, accosta i lavoratori dell'Opera di Roma ai musicanti di "Prova d'orchestra" di Fellini e auspica addirittura la chiusura dei teatri lirici in Italia (a suo dire troppi), con la conseguente riapertura di qualcuno di essi con formule e contratti nuovi, più moderni ed europei. Mi chiedo, a questo punto, dove sia il discrimine tra il "Napalm" di Facci e l'augurio di Augias. Forse solo una formale questione di eleganza, ma in sostanza il pensiero unico, quella "rottamazione" indiscriminata e incompetente che vede tutti d'accordo e che è però solo un slogan populista per distruggere fino all'ultimo briciolo la capacità di discernimento degli elettori (e dei lettori), è lo stesso.

"L'Italia sta uccidendo i propri figli. Assistiamo a genuflessioni nei confronti di chi viene da fuori, mentre i nostri talenti sono lasciati al proprio destino. Molti di questi musicisti troveranno posto in orchestre italiane ed estere: alcuni dovranno abbandonare la loro professione per cercarsi una strada diversa, poiché in Italia le orchestre, perfino le bande musicali, chiudono ogni giorno. La scuola, la politica italiana faccia qualcosa per evitare che questo Paese viva soltanto di ricordi". Queste sono parole di Riccardo Muti. Parole che nessuno ha mai ascoltato, se non per travisarle.

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