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Covid 19

Annie Ernaux contro Macron: “Hai tagliato la sanità e adesso parli di guerra”

Una vibrante lettera di Annie Ernaux indirizzata a Emmanuel Macron contro il linguaggio bellico usato dal presidente della Repubblica francese che punterebbe a nascondere, secondo l’autrice de “Gli anni”, anni di tagli ai servizi pubblici fondamentali: “Da quando guidi la Francia, sei rimasto sordo alle grida di allarme del mondo della sanità.”
A cura di Redazione Cultura
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L'autrice de "Gli anni" e "Il posto", Annie Ernaux, una delle voci letterarie più profonde e amate del nostro presente, scrive una lettera al presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron per rilanciare nel campo presidenziale tutta la retorica, l'uso improprio del linguaggio bellico e persino la fallacia logica delle contraddizioni politiche dei suoi recenti discorsi alla nazione, nonché per le politiche messe in campo durante l'emergenza sanitaria da coronavirus. Cita la censura di cui fu vittima il grande Boris Vian non per farsi schermo ma per scegliere la parte di campo in cui stare, e lo fa a modo suo. Non è un caso che la scrittrice francese sia così amata dai lettori di tutto il mondo.

Innanzitutto, la citazione di Vian: "Ti scrivo una lettera / Che potresti leggere / Se hai tempo. Per te che sei appassionato di letteratura, questa introduzione probabilmente significa qualcosa. È l'inizio della canzone The Deserter di Boris Vian, scritta nel 1954, tra la guerra dell'Indocina e la guerra algerina. Oggi, qualunque cosa tu dica, non siamo in guerra, il nemico qui non è umano, non è il nostro prossimo, non ha né pensato né voglia di fare del male, ignora i confini e le differenze sociali, si riproduce alla cieca saltando da un individuo all'altro. Le armi, poiché tieni a questo lessico bellico, sono i letti degli ospedali, i respiratori, le maschere e i test, ovvero il numero di medici, scienziati, operatori sanitari. Tuttavia, da quando guidi la Francia, sei rimasto sordo alle grida di allarme del mondo della salute".

Un atto di accusa potente contro quelle politica, come nel caso delle politiche messe in campo dai governi voluti dal presidente Emmanuel Macron, che non si ferma ai tagli, ma alla concezione del potere, della visione di società del presidente francese: "Hai preferito ascoltare coloro che sostengono il disimpegno dello Stato, sostenendo l'ottimizzazione delle risorse, la regolazione dei flussi, tutto questo gergo tecnocratico privo di carne".

Perché a sostenere lo stato francese, in questo momento, ci sono "i servizi pubblici che, per la maggior parte, assicurano il funzionamento del Paese: ospedali, istruzione nazionale e le sue migliaia di insegnanti, insegnanti che sono così mal pagati, EDF, l'ufficio postale, la metropolitana e il SNCF. E quelli che, una volta, hai detto che non erano niente, ora sono tutto, quelli che continuano a svuotare la spazzatura, a digitare i prodotti nelle casse, a consegnare le pizze, a garantire questa vita essenziale come la vita intellettuale e materiale."

Una lunga disamina di quelli che sono gli invisibili dei nostri tempi, in epoca da coronavirus: "Sappi, signor Presidente, che non lasceremo più rubare la nostra vita". Ecco il testo integrale, in (francese), della lettera di Arnaux.

«Je vous fais une lettre/ Que vous lirez peut-être/ Si vous avez le temps ». À vous qui êtes féru de littérature, cette entrée en matière évoque sans doute quelque chose. C’est le début de la chanson de Boris Vian Le déserteur, écrite en 1954, entre la guerre d’Indochine et celle d’Algérie. Aujourd’hui, quoique vous le proclamiez, nous ne sommes pas en guerre, l’ennemi ici n’est pas humain, pas notre semblable, il n’a ni pensée ni volonté de nuire, ignore les frontières et les différences sociales, se reproduit à l’aveugle en sautant d’un individu à un autre. Les armes, puisque vous tenez à ce lexique guerrier, ce sont les lits d’hôpital, les respirateurs, les masques et les tests, c’est le nombre de médecins, de scientifiques, de soignants. Or, depuis que vous dirigez la France, vous êtes resté sourd aux cris d’alarme du monde de la santé et  ce qu’on pouvait lire sur la  banderole  d’une manif  en novembre dernier -L’état compte ses sous, on comptera les morts – résonne tragiquement aujourd’hui. Mais vous avez préféré écouter ceux qui prônent le désengagement de l’Etat, préconisant l’optimisation des ressources, la régulation des flux,  tout ce jargon technocratique dépourvu de  chair qui noie le poisson de la réalité. Mais regardez, ce sont les services publics qui, en ce moment, assurent majoritairement le fonctionnement du pays :  les hôpitaux, l’Education nationale et ses milliers de professeurs, d’instituteurs si mal payés, EDF, la Poste, le métro et la SNCF. Et ceux dont, naguère, vous avez dit qu’ils n’étaient rien, sont maintenant tout, eux qui continuent de vider les poubelles, de taper les produits aux caisses, de  livrer des pizzas, de garantir  cette vie aussi indispensable que l’intellectuelle,  la vie matérielle.

Choix étrange que le mot « résilience », signifiant reconstruction après un traumatisme. Nous n’en sommes pas  là. Prenez garde, Monsieur le Président, aux effets de ce temps de confinement, de bouleversement du cours des choses. C’est un temps propice aux remises en cause. Un temps   pour désirer un nouveau monde. Pas le vôtre ! Pas celui où les décideurs et financiers reprennent  déjà  sans pudeur l’antienne du « travailler plus », jusqu’à 60 heures par semaine. Nous sommes nombreux à ne plus vouloir d’un monde  dont l’épidémie révèle les inégalités criantes, Nombreux à vouloir au contraire un monde  où les besoins essentiels, se nourrir sainement, se soigner, se loger, s’éduquer, se cultiver, soient garantis à tous, un monde dont les solidarités actuelles montrent, justement, la possibilité. Sachez, Monsieur le Président, que nous ne laisserons plus nous voler notre vie,  nous n’avons qu’elle, et  « rien ne vaut la vie » –  chanson, encore, d’Alain  Souchon. Ni bâillonner durablement nos libertés démocratiques, aujourd’hui restreintes, liberté qui  permet à ma lettre – contrairement à celle de Boris Vian, interdite de radio – d’être lue ce matin sur les ondes d’une radio nationale.

Annie Ernaux

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