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Charlotte Salomon, la pittrice ebrea che dipinse l’Olocausto e morì ad Auschwitz

Caricata su un treno dai nazisti e deportata ad Auschwitz, nel campo di concentramento luogo simbolo dell’Olocausto del popolo ebraico, Charlotte Salomon morì il giorno del suo arrivo in una camera a gas. Prima di essere deportata aveva fatto in tempo a salvare le sue quasi 800 opere d’arte, che oggi raccontano la follia del nazismo.
A cura di Redazione Cultura
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Il 10 ottobre del 1943, a causa di una delazione, Charlotte Salomon fu caricata su un treno dai nazisti e deportata ad Auschwitz, nel campo di concentramento e sterminio luogo simbolo dell'Olocausto del popolo ebraico. Stava per scappare lontano con suo marito, Alexander Nagler, portava in grembo un bambino. Purtroppo morì il giorno del suo arrivo ad Auscwhitz, in una camera a gas. Aveva soltanto 26 anni. Era un'artista, i suoi 769 quadri realizzati con la tecnica "gouache" si rifacevano chiaramente ai colori e alle ambientazioni di Van Gogh, Chagall e Munch. Queste opere, in cui Charlotte aveva raccontato la sua vita, dall’infanzia al suicidio della madre, l’ascesa del nazismo in Germania, il potere di Adolf Hitler, l’internamento del padre e la costrizione a lasciare Berlino, in quanto ebrea.

Le sue opere, che furono messe in salvo dal  dottor Georges Moridis, a cui Charlotte Salomon affidò il "corpus" dei suoi quadri prima di partire per l'esilio, sono realizzate esclusivamente con tre colori (rosso, blu e giallo) e sono accompagnate da commenti scritti in terza persona. Oggi quell'enorme patrimonio di opere d'arte si trovano allo "Joods Historisch Museum" di Amsterdam, dove sono arrivate dopo la guerra e il salvataggio della memoria di Charlotte ad opere di Moridis, che le consegnò nelle mani dell'americana Ottilie Moore, che a sua volta lo restituì alla famiglia Salomon.

Così il cerchio della vita della giovane Charlotte si è chiuso. Prima di fuggire, fece in tempo a raccogliere le sue opere e a metterle nelle meni del suo dottore, che la stava curando da una forte depressione. Malattia che colpiva statisticamente molti ebrei e non solo dalla persecuzione nazista, ma dal clima che da fine Ottocento in poi si era diffuso in tutta Europa di antisemitismo. Per sfuggire al dramma familiare e alla ininterrotta catena di suicidi, aveva deciso di "guarire" attraverso l'arte. Ce la fece. Come ci dimostrano oggi quei dipinti. Purtroppo per lei non riuscì a sopravvivere all'Olocausto e al campo di sterminio di Auschwitz.

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