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Cosa dice il regolamento di Dublino e perché bloccare i negoziati è un errore

La bocciatura del regolamento di Dublino ha portato le prime conseguenze. Il blocco delle navi Aquarius e Sea watch 3 è stata una diretta conseguenza dell’assenza di un accordo su Dublino IV. Ma respingere quella riforma significa mantenere lo status quo.
A cura di Annalisa Cangemi
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Secondo molti politici e analisti la crisi diplomatica scoppiata con il caso Aquarius è stata anche la conseguenza del blocco dei negoziati sulla riforma di Dublino, cioè il regolamento che stabilisce le modalità di spartizione dei migranti richiedenti asilo tra i vari Paesi dell'Ue. Lo stallo diplomatico e il braccio di ferro innescato dal governo Lega-M5S, si è riversato per intero sui 629 migranti a bordo della nave dell'Ong, che sono stati "utilizzati" come leva. Per la legge la priorità doveva essere quella di assicurare ai profughi l'approdo in un "porto sicuro". Ma la vicenda Aquarius ha rimesso al centro del discorso politico la gestione dei flussi migratori in Europa.

L'accordo di Dublino IV non piace a Matteo Salvini, che ha disertato lo scorso 5 giugno la riunione del Consiglio Affari Interni a Lussemburgo, che si è tenuta nel giorno in cui al Senato si votava la fiducia al governo Conte. L'attuale regolamento, Dublino III, "stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un Paese terzo o da un apolide". La convezione di Dublino originariamente era stata siglata nel 1990, ma da allora i flussi migratori si sono sensibilmente modificati, e hanno reso necessaria una modifica del regolamento: lo squilibrio creatosi tra i Paesi europei, a svantaggio di quelli che si affacciano nel Mediterraneo, e in particolare Grecia e Italia, ha dimostrato che il criterio di assegnazione dei migranti unicamente al Paese di arrivo, che impone appunto al migrante di inviare la richiesta di asilo al Paese di prima accoglienza, andrebbe rivisto, in un'ottica di maggiore equità.

E proprio per far sì che la responsabilità venga suddivisa tra tutti gli Stati sono stati individuati due elementi per stabilire in che modo ripartire le quote: il Pil e la popolazione. Se poi un Paese si dovesse rifiutare di fare la sua parte sarebbe costretto a pagare una penale di 250mila euro per ogni richiedente asilo respinto. Mentre i Paesi più esposti, come l'Italia appunto, dovrebbero ottenere più aiuti da parte dell'Ue.

Le altre novità introdotte nel documento

Il regolamento, che ha già ottenuto l'ok da parte del Parlamento europeo, deve ottenere l'avallo del Consiglio dell'Ue. Tra gli altri importanti elementi di novità, oltre alla cancellazione del criterio del "primo ingresso", ci sono in primo luogo una nuova procedura accelerata di ricongiungimento familiare: il concetto di famiglia è stato allargato anche ai fratelli e ai figli adulti a carico; è stata poi introdotta la possibilità di una sponsorship, grazie alla quale organizzazioni umanitarie che rispondano a determinati requisiti stabiliti a livello nazionale potranno prendersi carico di un richiedente asilo fino a che sia esaminata la sua domanda; per facilitare poi l'inserimento sociale sono stati ampliati i criteri di "responsabilità", che dovrebbero essere presi in considerazione prima di far scattare automaticamente il meccanismo di ricollocamento del migrante; ad esempio vengono valorizzati i legami significativi del richiedente asilo con altri Stati membri, tra cui anche soggiorni precedenti.

Una controproposta è stata avanzata dalla Bulgaria, presidente di turno del Consiglio: il Paese dell'Est Europa ha proposto di correggere la penale di 250mila riducendola a 30mila. Inoltre ha chiesto di introdurre il principio di "responsabilità stabile", secondo cui se un richiedente asilo arriva in un Paese, lo Stato in questione dovrà occuparsi di lui per un periodo di 10 anni. L'idea è stata contestata da Italia, Cipro, Grecia, Malta e Spagna, che sono appunto i Paesi più esposti ai fenomeni migratori: i cinque Stati hanno chiesto di rivedere la proposta bulgara, accorciando il periodo di presa in carica del migrante a due anni.

Il governo italiano ha votato contro la bozza di riforma, allineandosi alle posizioni di Austria, Romania, Slovenia, Slovacchia e Ungheria. Ma respingere la riforma di Dublino significa sostanzialmente mantenere lo status quo, e per questo la posizione di Salvini è stata criticata. Il giorno prima del vertice il vicepremier leghista aveva detto di avere avuto "una telefonata cordiale con il primo ministro ungherese Viktor Orban: lavoreremo per cambiare le regole di questa Unione Europea". Ma è stato proprio il suo predecessore a evidenziare la miopia della scelta: "Ci stiamo consegnando mani e piedi al loro progetto di ridurre l’Italia a centro di controllo unico dei flussi migratori provenienti dall’Africa – ha detto l'ex ministro Minniti in un'intervistaAppunto, e qui riprendo le ultime proposte di Salvini, creando sempre più hotspot, sempre più centri di accoglienza… Davvero pensiamo di allearci con chi sta cercando di affossare nel Parlamento Europeo la proposta di riforma del trattato di Dublino?". Minniti sottolineava insomma la differenza tra gli interessi dei Paesi dell'Est Europa, come l'Ungheria appunto, e quelli del Sud come Italia, Grecia e Spagna.

Sull'urgenza di ridiscutere e approvare Dublino IV si è espresso anche il commissario europeo Dimitris Avramopoulos: "La migrazione mette in pericolo il progetto europeo. Occorre che gli Stati si prendano le loro responsabilità e trovino un accordo sulla revisione del regolamento di Dublino. Non dobbiamo permettere che la migrazione sia più un elemento divisivo".

E' intervenuta oggi anche l'europarlamentare Barbara Spinelli (Gue-Ngl), durante la sessione plenaria del Parlamento europeo: "Il blocco delle navi (Sea watch 3 e Aquarius ndr) è frutto velenoso del blocco negoziale su Dublino IV, e usa i migranti come ostaggi. Se il Consiglio europeo cercherà l’unanimità su Dublino, come chiede Angela Merkel, sbatterà contro un muro e confermerà che c’è del marcio nell’Unione. Al mio governo vorrei dire: fate vostra la riforma del Parlamento, ha difetti, vero, ma è la più avanzata possibile. Gran parte del Consiglio vuole ucciderla. Guardatevi da alleati come Orbán: non accetterà redistribuzioni automatiche di quote. Non è amico del governo italiano".

Senza la riforma il Consiglio europeo rischia di finire alla Corte di Giustizia

Ma c'è di più. Il capogruppo dei Liberaldemocratici al Parlamento europeo (Alde), l'ex premier belga Guy Verhofstadt, ha proposto oggi di portare il Consiglio europeo di fronte alla Corte europea di giustizia, se non si riuscirà a trovare un accordo sul sistema di asilo comune al prossimo vertice Ue. "Se i leader dell'Ue non riusciranno a trovare un accordo sul nostro sistema di asilo e immigrazione comune al Consiglio europeo (28-29 giugno ndr) – scrive Verhofstadt – dobbiamo portare il Consiglio alla Corte sotto l'articolo 265 del Trattato per "incapacità di agire". Secondo l'articolo 265 del Trattato sul funzionamento dell'Ue, si può portare un'istituzione, un organo o un'agenzia di fronte alla Corte di giustizia, quando è stata incapace di agire.

"E' colpa loro se non hanno ancora assunto una posizione sulla riforma del sistema di Dublino, due anni dopo la presentazione della proposta da parte della Commissione europea" – ha detto il capogruppo dell'Alde – Quando il Consiglio europeo si assumerà la propria responsabilità? Quando? Non era questa la ragione per cui abbiamo creato il Consiglio europeo, come una istituzione ufficiale dell'Unione europea, al fine di assumersi la responsabilità, di guidare l'Unione?".

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