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Chi subirà il taglio delle pensioni d’oro voluto da Lega e M5s

Il Governo conferma il taglio delle pensioni cosiddette d’oro, ovvero degli assegni superiori a 4mila euro netti al mese. La sforbiciata sarà di una quota fra il 10% e il 20% e servirà a recuperare 500 milioni di euro da assegnare ai beneficiari di pensioni minime. Proviamo a vedere nel dettaglio di cosa si tratta.
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Come vi stiamo raccontando, il Governo ha intenzione di modificare la normativa in materia di pensioni, anche con un intervento strutturale sulla riforma Fornero. Molto dipenderà dalle risorse che il ministro dell'Economia Giovanni Tria riuscirà a reperire in sede di legge di bilancio, considerando anche l'onerosità degli altri interventi considerati prioritari dai due azionisti del governo, la Lega e il Movimento 5 Stelle, che spingono rispettivamente per la flat tax e il reddito di cittadinanza. C'è però già un progetto in cantiere sul versante delle pensioni, che prevede il taglio delle pensioni d'oro, che, nei progetti della maggioranza, è una sorta di precondizione per il conseguente aumento delle pensioni minime.

Tutto ruota intorno al disegno di legge depositato alla Camera dai capigruppo di M5s e Lega D'Uva e Molinari, dal titolo "Disposizioni per favorire l’equità del sistema previdenziale attraverso il ricalcolo, secondo il metodo contributivo, dei trattamenti pensionistici superiori a 4.000 euro mensili". Il ddl potrebbe essere incardinato già a settembre e approvato prima dell'avvio della discussione della legge di bilancio. Stando alle prime stime, le pensioni che saranno oggetto di revisione saranno circa 158mila, con un recupero per le casse dello Stato di 500 milioni di euro l'anno, 5 miliardi in 10 anni.

Taglio pensioni d'oro, chi riguarda

La legge si propone di intervenire sulle pensioni al di sopra degli 80mila euro lordi l'anno, ovvero quelle che determinano un assegno pensionistico mensile superiore ai 4mila euro netti (cifra che da alcune stime potrebbe scendere a 3800 euro circa). A essere interessati dai tagli saranno gli assegni "dei lavoratori dipendenti pubblici e privati, degli autonomi e dei vari fondi confluiti all’interno dell’Inps compresi i dipendenti pubblici" (oltre che, come noto, quelli relativi ai vitalizi parlamentari o dei consiglieri regionali). Si tratterà di un ricalcolo degli assegni, che sarà effettuato non in base ai contributi effettivamente versati ma all'età dalla quale si è cominciato a percepire l'assegno: un meccanismo che provocherà un taglio della cifra percepita che potrà variare dal 10 al 20 percento. Inizialmente si era pensato di legare il ricalcolo semplicemente al metodo contributivo, ma, come spiega Repubblica, l'idea è stata abbandonata "ragioni di equità, ossia applicando ai nonni le regole dei nipoti", dunque cambierà in modo retroattivo l'età per il trattamento di vecchiaia. Luca Cifoni, sul Messaggero, spiega perfettamente il meccanismo della legge:

Il primo parametro di cui tenere conto è l’importo lordo della pensione: 80 mila euro l’anno, che corrispondono a circa 4 mila euro netti (in realtà 100-200 in meno a seconda delle addizionali locali applicate). L’altro riferimento è appunto l’età della pensione di vecchiaia: 67 anni da 2019 in poi, in linea con quanto previsto dalla legge Fornero, e soglie via via più basse, ricalcolate all’indietro in base agli andamenti demografici, fino ai 63 anni e 7 mesi per chi ha lasciato il lavoro nell’ormai lontano periodo che va dal gennaio 1974 al dicembre 1976. A questo punto entrano in gioco i coefficienti di trasformazione introdotti dalla legge Dini, utilizzati per trasformare in rendita il “capitale” contributivo della pensione e graduati in base all’età del ritiro.

Insomma, la legge va a colpire la quota retributiva (considerando che prima del 2011 la gran parte delle pensioni di cui si parla era assegnata con metodo retributivo) e penalizzerà quindi chi è uscito prima dal mondo del lavoro. Militari, professori universitari, medici sono le categorie più colpite dall'utilizzo del rapporto fra il "coefficiente di trasformazione" in vigore quando si è usciti dal mondo del lavoro e quello "effettivo", ovvero quello che si sarebbe determinato andando in pensione all'età prevista dalla legge, ovvero 67 anni (se la legge entrerà in vigore nel 2019). Restano forti i dubbi sulla costituzionalità del provvedimento, dal momento che non si tratterebbe di un contributo di solidarietà (del resto non sembrano esserci i presupposti), ma di un ricalcolo da retributivo a contributivo che sin tradurrebbe in un prelievo fiscale solo per una quota di pensionati.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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