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Bossetti: “Il killer di Yara non sono io, non confesso un delitto non commesso”

Attraverso il suo avvocato parla Massimo Giuseppe Bossetti, il muratore di Mapello arrestato il 16 giugno 2014 con la pesante accusa di aver ucciso la 13enne Yara Gambirasio. A Repubblica dice: “È come se l’opinione pubblica mi avesse già condannato”.
A cura di Susanna Picone
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Era il 16 giugno del 2014 quando Massimo Giuseppe Bossetti, un muratore bergamasco sposato e con tre figli, è stato arrestato con la pesante accusa di aver commesso un delitto oltre tre anni prima. Accusato di aver seviziato e ucciso la 13enne di Brembate Sopra Yara Gambirasio, scomparsa dal suo paese il 26 novembre 2010 e ritrovata cadavere tre mesi dopo, e rinchiuso in carcere. Da quel giorno Bossetti ha risposto alle domande dei magistrati e ha sempre detto di essere innocente. Contro di lui, com’è noto, ci sono le tracce di Dna ritrovate sugli indumenti di Yara: per la scienza quelle tracce gli appartengono. E dopo oltre sei mesi di silenzio mediatico, Bossetti ha voluto difendersi anche tramite le pagine di un giornale. Al quotidiano Repubblica, attraverso il suo avvocato Claudio Salvagni, ha ribadito ancora una volta di essere innocente. Di non poter confessare un delitto che non ha commesso. “Dal 16 giugno, il giorno del mio arresto, le hanno provate tutte per farmi confessare. Speravano che prima o poi sarei crollato. Ma non confesso un delitto che non ho commesso. Il killer di Yara non sono io, lo dimostrerò in aula, davanti ai giudici”, ha detto Bossetti, che ha affermato di sperare in un “processo giusto”, anche nei tempi.

Bossetti: “Prova del Dna sbagliata, non ho mai conosciuto Yara”

“Sono stato dipinto come un mostro – ha detto ancora l’indagato a Repubblica – accusato di un reato orribile. Ma io con la morte di quella povera ragazzina non c'entro niente. In carcere le rivolgo ogni giorno un pensiero. Spero che al processo venga fuori la verità”. Se ha deciso di parlare è perché – ha spiegato – “hanno fatto indagini in un’unica direzione”, perché “è come se l'opinione pubblica, i media, mi avessero già condannato”. Il muratore di Mapello al quotidiano ha parlato anche della prova del dna, considerata schiacciante dall’accusa: “È stato fatto un errore, io non ho mai conosciuto Yara. Per questo chiederemo con il mio avvocato la ripetizione del test”. La sua “spiegazione” è sempre la stessa: “Io soffro di epistassi, e un po' di sangue potrebbe essere finito sugli attrezzi da lavoro che uso in cantiere, attrezzi usati dal vero assassino. Io, pur senza accusare nessuno, ho offerto spunti, piste alternative, ma non mi hanno creduto”. A proposito della presenza del suo furgone a Brembate Sopra, vicino alla palestra frequentata da Yara, Bossetti ha spiegato: “Quelle immagini non provano niente, ci sono passato spesso davanti per lavoro. Sono pronto a dire tutto ai giudici, al processo. Sono pronto a difendermi a patto che il processo sia giusto”.

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