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Banche: Matteo Renzi favorevole a nuovi matrimoni

Matteo Renzi preme per ridurre il numero di banche operanti in Italia, ma prima di procedere a nuovi matrimoni tra istituti sarà bene verificare la governance dei nuovi soggetti nascenti, il modello di business adottato e l’integrabilità tra le diverse culture aziendali. Altrimenti il rischio di contraccolpi negativi è dietro l’angolo…
A cura di Luca Spoldi
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Matteo Renzi è stato esplicito e in un’intervista ha dichiarato: in Italia “le banche vanno ridotte di numero”. Difficile dargli torto a prima vista, con 643 banche commerciali operanti nel “bel paese” a fine giugno secondo le ultime statistiche della Banca centrale europea ossia circa una ogni 95 mila italiani. Peraltro i numeri italiani non sono così eccezionali in Europa: la piccola Austria (meno di 8,5 milioni di abitanti) di banche operanti nei suoi confini ne contava, sempre a fine giugno, 663 (una ogni neppure 13 mila abitanti), la Polonia (38,5 milioni di abitanti) ne contava 664 (una ogni 58 mila residenti) e la Germania (82,5 milioni di abitanti) ben 1.760 (una ogni neppure 47 mila residenti).

Il problema non è dunque nel numero, semmai nella omogeneità dei modelli di business adottati, modelli che faticano a tener dietro alla trasformazione in atto nel mercato del credito, con una clientela che da anni sta cambiando sia le abitudini in termini di approccio (preferendo operare online anziché allo sportello per tutta una serie di operazioni “standard”, dai bonifici al trading su bond, azioni o fondi comuni) sia di esigenze (cresce la domanda di credito al consumo, resta moderata quella di mutui, si riduce forzatamente quella di anticipazioni, sconti, leasing e factoring, complice il persistere di un quadro macroeconomico poco esaltante).

Supponiamo tuttavia che l’auspicio di Renzi per una riduzione del numero di istituti vada a cogliere il senso della necessità di veder emergere pochi gruppi di medie e grandi dimensioni, in grado di sostenere adeguati investimenti per innovarsi e offrire nuovi prodotti e servizi al passo coi tempi (e si spera ad un giusto prezzo). Siamo sicuri che la strada delle fusioni e acquisizioni sia quella più conveniente per tutti? Per manager e azionisti “di riferimento” come le Fondazioni potrebbe anche esserlo, specie se continueranno a prevalere le fusioni “tra pari”, formula bizantina che solitamente comporta un raddoppio degli organi societari così da mantenere intatti gli equilibri politici all’interno degli organi stessi, vedasi quanto accaduto negli anni passati a Intesa Sanpaolo, Unicredit o Ubi Banca solo per fare tre esempi noti. Per gli altri stakeholder, a partire dai dipendenti e dalla clientela, non è detto che sia altrettanto una buona idea.

La governance è un punto discriminante per capire se le fusioni sono pensate per creare valore per azionisti e stakeholder tutti o solo garantire gli interessi di alcuni, ma anche la necessità di integrare differenti culture aziendali può giocare un ruolo importante e non solo in ambito bancario. Prendete la fusione da 50 miliardi di dollari che giusto un anno fa è stata celebrata tra la svizzera Holcim e la francese Lafarge, due colossi europei del settore del cemento il cui “matrimonio” ha dato vita al nuovo numero uno mondiale del comparto. LafargeHolcim ha visto le quotazioni calare del 39% in questi dodici mesi, mentre il settore ha ceduto appena l’1,5% e alcuni gruppi come l’irlandese Crh e la tedesca HeidelbergCement hanno visto le quotazioni salire rispettivamente del 29% e del 13%.

Una fusione non si deve fare solo per veder aumentare le quotazioni dei titoli coinvolti, ma certo l’andamento di borsa è una spia importante della fiducia che il mercato dimostra nelle prospettive dei gruppi e dell’apprezzamento o delusione che esprime per i risultati via via conseguiti. Quelli di LafargeHolcim non sono stati esaltanti, con un risultato pro-forma 2015 che ha visto un rosso pari a 2,1 miliardi di franchi svizzeri a causa di una raffica di svalutazioni e oneri straordinari. Ciò nonostante il titolo tratta ancora 18 volte gli utili attesi per quest’anno ed è dunque relativamente caro. Siamo sicuri che eventuali “matrimoni” tra banche italiane, oltre a quello già previsto tra Banco Popolare e Bpm, siano la migliore soluzione al problema dell’eccessivo affollamento di operatori sul mercato nazionale del credito?

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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