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Banche: come farà Atlante a farsi carico delle sofferenze? Con molta difficoltà

Unicredit, Intesa Sanpaolo e Ubi Banca in netto calo a Piazza Affari. Sulle spalle dei tre istituti peserà buona parte dello sforzo iniziale del fondo Atlante, il veicolo che dovrebbe farsi carico delle sofferenze delle banche italiane. Ne beneficerebbero gli istituti più in crisi come Mps e Banca Carige, ma non solo…
A cura di Luca Spoldi
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Responso negativo da parte della borsa di Milano all’annunciato varo del fondo Atlante, che dovrebbe garantire al tempo stesso il successo degli aumenti di capitale (a partire da quelli di Banca popolare di Vicenza e Veneto Banca, per 2,75 miliardi) e la cessioni della parte più delicata dei crediti problematici (Npl) delle banche italiane, ossia quelle tranche “junior” delle future cartolarizzazioni che non potranno godere della garanzia statale e dunque avrebbero rischiato di non trovare collocamento se non a prezzo molto sacrificati, in linea con quanto stanno offrendo per le sofferenze di Banca Carige e di BpVi fondi esteri specializzati come Apollo Management e Fortress (ossia il 17,6% del valore nominale dei crediti, valore che è poi nient’altro che quello al quale a dicembre avvenne il passaggio dei crediti “marci” delle quattro banche regionali alla “bad bank” creata per decreto).

A fine giornata infatti le perdite più pesanti sono state segnate da Unicredit, Intesa Sanpaolo e Ubi Banca, tutte attorno al 5% di perdita. Proprio questi tre istituti dovrebbero sopportare lo sforzo iniziale più rilevante, fornendo 1,5 miliardi di euro, cui si sommerebbero altri 500 milioni raccolti da 5 delle restanti 7 maggiori banche italiane (Mps e Banca Carige non parteciperebbero infatti a questa sorta di “salvataggio volontario”), più forse altri 500 milioni raccolti dalle Fondazioni bancarie italiane, per una prima dotazione di 2,5 miliardi. A questi primi capitali altri se ne sommerebbero per un totale di 5,5-5,7 miliardi, facendo leva su almeno 250-300 milioni di mezzi apportati da Cassa depositi e prestiti e dalla partecipazione, ancora non quantificata, da parte delle banche di media-piccola dimensione, di qualche asset manager e delle assicurazioni.

Posto che gli Npl (non performing loans), ossia i crediti che a vario grado risultano deteriorati, ammontano complessivamente a 360 miliardi di euro di cui 200 miliardi circa rappresentati da sofferenze, quest’ultime universalmente valutate tra il 15% e il 20% del valore nominale a fronte della possibilità di un recupero di valore che raramente supera il 30% anche a medio termine, come farà Atlante a risollevare le banche italiane? Con molta difficoltà, forse persino superiori a quelle che avrebbe il mercato se venisse lasciato compiere la sua funzione visto che si vorrebbe far rilevare le sofferenze a prezzi superiori a quelli proposti attualmente dal mercato, ossia dai fondi esteri, per evitare ulteriori pesanti svalutazioni che metterebbero le banche più deboli in ginocchio col concreto rischio di una ulteriore crisi sistemica del credito italiano.

Ma chi è che potrebbe beneficiare maggiormente di questa soluzione? Tra le grandi banche italiane la più “disastrata” e quindi quella che potrebbe trarre i maggiori benefici resta di gran lunga Mps, nel cui bilancio gli Npl arrivano a rappresentare il 36% dei crediti complessivi, seguito da Banca Carige (27,8% di crediti “marci” secondo dati diffusi oggi da Bloomberg). Ma non se la cavano affatto bene neppure il Credito Valtellinese (25,1%), il Banco Popolare (23,3%), che infatti deve aumentare di 1 miliardo il capitale prima di convolare a nozze con Bpm, e poi proprio Intesa Sanpaolo e Unicredit (17,5% e 17% rispettivamente) che pure dovranno correre in soccorso dei propri concorrenti ed evidentemente dovranno avere qualche contropartita.

A livelli multipli rispetto alla media europea (gli Npl in Eurolandia rappresentano mediamente il 3,2% dei crediti erogati, sempre secondo Bloomberg) restano anche Bper (15,1%), Ubi Banca (14,8%), Bpm (14%), Banca popolare di Sondrio (14%). Praticamente in salvo appaiono solo Credem (6%) e Mediobanca (4,6%), che si è già chiamata fuori e che deve garantire il buon fine dell’aumento da un miliardo di Banco Popolare. La leva, a seconda di come si voglia calcolare, fa impressione. Se volesse rilevare tutte le sofferenze in essere (che sono mediamente già coperte al 40%, dunque potrebbero essere cedute al 60% del proprio valor nominale, pari a 120 miliardi, senza che occorressero ulteriori svalutazioni) Atlante dovrebbe usare una leva di 20 volte.

Se poi Atlante si facesse carico anche solo di metà delle sofferenze delle banche tricolori, dovrebbe comunque usare una leva di 10 volte. Il tutto augurandosi che gli aumenti di capitale vadano in porto senza dover sborsare neppure un euro, o potendo rapidamente rivendere senza perdita i titoli azionari sottoscritti, cosa tutto meno che certa come ha scoperto Cdp dopo il recente aumento di capitale di Saipem. Il sospetto che la montagna stia per partorire l’ennesimo topolino, nonostante la notevole quantità di fumo che si è subito alzata per celebrare l’evento, è al momento concreto.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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