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Valeria Lembo, morta per una chemio sbagliata. I giudici: “Dai medici gravi errori ed omissioni”

Per i giudici della Corte d’Appello Valeria Lembo, la trentaquattrenne madre di un bambino di 7 mesi morta a Palermo nel 2011 dopo la somministrazione di una dose dieci volte maggiore di un farmaco chemioterapico, è stata uccisa a causa di una serie di “gravi errori, omissioni e incompetenza”.
A cura di Davide Falcioni
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Valeria Lembo, la trentaquattrenne madre di un bambino di 7 mesi scomparsa a Palermo nel 2011 dopo la somministrazione di una dose dieci volte maggiore di un farmaco chemioterapico, è stata uccisa a causa di una serie di "gravi errori, omissioni e incompetenza". Sono le motivazioni dei giudici della Corte d'Appello del capoluogo siciliano che il 27 febbraio scorso hanno condannato a 3 anni l’ex primario Sergio Palmeri, a 3 anni e 3 mesi la dottoressa Laura Di Noto e a 3 anni e 5 mesi lo specializzando Alberto Bongiovanni, tutte pene sensibilmente ridotte rispetto al primo giudizio di appello. I giudici hanno inoltre assolto l’infermiera Clotilde Guarnaccia per non aver commesso il fatto. A renderlo noto il Giornale Di Sicilia.

A Valeria Lembo una dose letale di un farmaco

Malgrado le pene siano state ridotte, per i giudici l'allora direttore del reparto di Oncologia, Sergio Palmeri, era "solito delegare pressoché integralmente ai suoi allievi, la gestione dei singoli casi, senza controlli". I medici sbagliarono clamorosamente le dosi di un farmaco chemioterapico, la Vinblastina, somministrato a Valeria Lembo; anziché dargliene 9 unità, nel reparto di Oncologia del Policlinico gliene furono infuse 90 a causa di un'errata trascrizione della prescrizione del medicinale la cui dose, ben 10 volte superiore a quella necessaria, causò alla donna una morte atroce.

Valeria Lembo, colpita da un tumore alla spalla, il linfoma di Hodgkin, morì tra dolori atroci il 29 dicembre del 2011. La donna era diventata mamma da appena sette mesi. Dopo il decesso, la cartella clinica sarebbe stata manomessa nel tentativo di coprire gli errori compiuti. In primo grado il giudice aveva definito “un assassinio in piena regola” la morte della giovane mamma di Palermo.

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