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Siamo saliti a bordo della Geo Barents: ecco le storie di chi salva le vite in mare

Siamo saliti sulla nave di Medici Senza Frontiere, prima che parta per la sua missione. Abbiamo intervistato operatori e marinai, per sapere perché lo fanno. A Fanpage.it hanno raccontato cosa significa vivere in mare, salvando delle vite umane.
A cura di Luisa Santangelo
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Prima di ripartire per la prossima missione, che plausibilmente li terrà in mare nei giorni subito dopo Natale, riprendono fiato. Riempiono la nave di rifornimenti, fanno manutenzioni, si esercitano con un manichino pesante come un corpo morto. Quando incontriamo l'equipaggio e gli operatori umanitari della Geo Barents sono tutti sulla nave, nella rada di Augusta (provincia di Siracusa), nell'intervallo tra una rotazione e l'altra.

La precedente si è conclusa l'11 dicembre, con lo sbarco di 248 persone al porto di Salerno. Pochi giorni prima, sulla stessa nave, una donna chiamata Fatima aveva dato alla luce il piccolo Alì. Il primo bambino a nascere sulla Geo Barents. I nomi di mamma e bimbo sono di fantasia, l'emozione negli occhi di chi ha assistito al parto è reale.

"Sono tante sensazioni, tutte insieme", dice a Fanpage.it Kira Smith, originaria degli Stati Uniti, ostetrica di bordo. È lei ad avere aiutato Fatima a partorire, durante un travaglio complesso, durato molte ore. "Da una parte sei orgogliosa e felice: felice di avere guadagnato la fiducia di una mamma così forte, onorata di avere avuto il privilegio di assisterla. Dall'altra parte hai paura: il bambino è nato, è sano, la mamma sta bene, gli altri tre fratelli pure, però quello che c'è dopo, quello che dovranno affrontare una volta arrivati in Europa ti spaventa. Hanno così tanta sofferenza alle spalle e così tante incognite davanti a sé".

Lasciare un continente tra la fame, le torture e la violenza, attraversare il mare, rischiare la morte e poi arrivare in un luogo che non ha ancora deciso se e come accoglierli, mentre il governo italiano lavora a un nuovo codice di condotta per regolamentare il lavoro delle Ong. "Noi vorremmo non essere necessari", spiega Fulvia Conte, romana, tra i pochi italiani su Geo Barents, responsabile delle operazioni di ricerca e soccorso. I suoi racconti diventano velocemente un elenco di salvataggi critici. Quelli, cioè, con tante persone a rischio immediato di vita.

"Un gommone aveva perso la base e c'erano decine di persone attaccate ai soli tubolari di gomma – ricorda Conte – Oppure un barchino di legno, semiaffondato, sul fondo c'erano dieci vittime, donne e bambini, morti per le esalazioni della benzina".

"Per due volte, purtroppo, abbiamo dovuto usare la cella refrigerata. Per metterci dentro i corpi di chi non ce l'ha fatta. Però siamo anche riusciti a salvare la vita di bambini piccolissimi". È il mix di emozioni di cui tutte e tutti parlano, sulla nave. "Sembra un film, ma è la vita vera", sottolinea Gabriel Bouza, soccorritore, arrivato dall'Argentina. Per lui tutto è cambiato, quando, mentre lavorava come bagnino di salvataggio in spiaggia, in Spagna, ha cominciato a sentire parlare di migranti, sbarchi e naufragi. Era il 2019. "Mi sono detto che dovevo fare qualcosa, dovevo tentare di aiutare – dichiara – Quello che è davvero da pazzi è che tutto questo succeda nello stesso mare in cui la gente fa il bagno e trascorre le estati normalmente".

"Penso, ma questa è solo la mia opinione personale, che sia assolutamente inumano come l'Europa tratta queste persone", risponde Ayla Emmink, capa della squadra medica, olandese. "Volevo trovare un modo per aiutare le persone – spiega –  è il motivo per il quale ho deciso di studiare Medicina. Dopo la laurea ho subito cominciato a lavorare nel settore della medicina di emergenza". Anni fa era in un ospedale da campo in Sud Sudan, l'anno scorso sulla Geo Barents un ragazzo appena salvato l'ha riconosciuta: "Ti ricordi di me? Hai curato mio fratello in Sud Sudan". Mentre sorride conclude il suo racconto: "Quante possibilità c'erano che accadesse una cosa del genere?".

Loro, gli operatori di Medici Senza Frontiere, quella vita l'hanno scelta. Il resto della crew, però, no. Elettricisti, mozzi, cuochi. Tutto lo staff tecnico che mantiene operativa la nave e che lavora per l'armatore, perché MSF paga il noleggio dell'imbarcazione. Molti arrivano dalle Filippine. Charlie Macion fa il nostromo e non nasconde l'orgoglio: "Noi e la squadra di Medici Senza Frontiere lavoriamo come un unico team . Se ci sono troppi migranti in mare con le lance di soccorso, ci caliamo in acqua anche noi. Ed è bellissimo quando poi i sopravvissuti arrivano sulla nave, alzano le braccia e ringraziano dio di essere salvi".

Kirill Kazakov, invece, fa l'elettricista e viene dall'Ucraina. Prima lavorava in navi container, lui che è di Odessa. Il suo contratto per Geo Barents è cominciato all'inizio di febbraio 2022: "Ero qui quando è scoppiata la guerra. All'inizio provavo sensazioni orribili. Poi ho capito che la guerra sarà una cosa lunga e bisognerà farci i conti per molti anni. Quindi ho cominciato a programmare la mia vita lontano dall'Ucraina e, intanto, sono felice di fare quello che sto facendo, di essere parte di un progetto".

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