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Perché il codice di condotta anti Ong che vuole Piantedosi è illegittimo e inefficace

Il ministro dell’Interno Piantedosi vuole bloccare l’attività delle Ong. Per aggirare le norme internazionali il Viminale sta mettendo nero su bianco un nuovo codice di condotta per le navi da soccorso. Filippo Miraglia (Arci) spiega a Fanpage.it cosa non funziona nelle regole allo studio del governo.
A cura di Annalisa Cangemi
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L'Europa, tramite la portavoce della Commissione Ue Anitta Hipper, ha voluto ribadire che nell'obbligo di salvare vite in mare "non c'è differenza tra navi Ong o altre navi'". Anche la Germania si è recentemente schierata a sostegno delle organizzazioni umanitarie che operano nel Mediterraneo, con l'ambasciatore tedesco in Italia, Viktor Elbling, che ha twittato così: "Nel 2022 sono già oltre 1300 le persone morte o disperse nel Mediterraneo. Un 12% dei sopravvissuti sono stati salvati dalle Ong. Loro salvano vite laddove l’aiuto da parte degli Stati manca. Il loro impegno umanitario merita la nostra riconoscenza e il nostro appoggio". Ma questo non impedisce al governo di pianificare una stretta contro le organizzazioni, nel tentativo di ostacolarle o bloccarle.

L'intenzione dell'esecutivo e del ministro dell'Interno Matteo Piantedosi è quella di aggirare le norme internazionali, come la Convenzione Sar siglata il 27 aprile 1979 ad Amburgo e la Convenzione sul diritto del mare di Montego Bay del 1982: quello che le Ong fanno non è altro che sopperire al vuoto che si è creato dopo la fine della missione Mare Nostrum, soccorrendo e dando assistenza ai migranti in mare per portarli nel primo porto sicuro.

Ma le dichiarazioni degli ultimi giorni, con la ricomparsa della narrazione delle Ong come "taxi del mare", costrutto mai confermato da nessun tribunale e ampiamente smentito dai dati, mostrano chiaramente che gli sforzi del governo saranno tesi a smontare la credibilità delle Ong, come già avvenuto in passato. Anche se l'esecutivo sa benissimo che le navi umanitarie riescono a intervenire in un numero molto limitato di casi, il 10-12% del totale (per fare un esempio, nel 2019 su circa 4mila arrivi ben 3500 si sono verificati con partenze autonome dalla Libia, dalla Tunisia e dall'Algeria). Attraverso diversi studi in questi anni è stato dimostrato poi che anche nei periodi in cui le Ong sono del tutto assenti dal Mediterraneo gli sbarchi continuano ad aumentare.

Questo tentativo di criminalizzare le Ong è stato messo nero su bianco anche nella dichiarazione congiunta sui flussi migratori, che l'Italia ha firmato con Cipro, Malta e Grecia (la Spagna si è rifiutata) un documento in cui i governi accusano queste organizzazioni di comportarsi in modo illegittimo, anche se sono proprio le autorità di questi Paesi a non rispondere alle chiamate delle navi da soccorso che salvano le persone in mare, violando di fatto il principio di non respingimento.

Le navi sono costrette ad attivarsi sempre a prescindere dalla bandiera che battono. L'interpretazione alternativa che il governo Meloni vorrebbe dare al Trattato di Dublino non è percorribile. Se infatti il Trattato vincola il Paese di primo ingresso a offrire assistenza ai migranti, l'esecutivo vorrebbe che da questo momento in poi fosse lo stato di bandiera della nave – considerato con un'evidente forzatura Paese di primo ingresso – ad occuparsi dei persone a bordo. Ma questa soluzione non sarebbe in linea con le leggi internazionali sul soccorso in mare.

Pur non esistendo alcuna correlazione tra aumento delle partenze e presenza delle navi umanitarie, l'idea del Viminale è quella di varare un nuovo codice di condotta, sul modello di quello voluto nel 2017 dall'allora ministro dell’Interno Marco Minniti, che le organizzazioni umanitarie dovranno sottoscrivere per poter continuare a svolgere la loro missione. Piantedosi lo potrebbe portare sul tavolo del prossimo Consiglio dei ministri.

Cosa non funziona nel codice di condotta che Piantedosi vuole varare

Il ministro degli Esteri Antonio Tajani, al termine del Consiglio Ue Affari Esteri, ha detto che "C'è un codice di condotta: un conto è il soccorso in mare e un altro conto è darsi l'appuntamento in mare per trasportare persone per metà del viaggio". La dichiarazione del titolare della Farnesina è solo un modo per rilanciare la teoria del ‘pull factor', un'accusa scagliata contro le navi umanitarie, colpevoli di alimentare un fenomeno illegale, cioè l'attività delle organizzazioni criminali che caricano le persone sulle barche dietro lauti compensi.

Secondo il piano del Viminale, stando alle ipotesi che sono circolate, con le nuove regole le navi delle ong avrebbero l'obbligo di comunicare alle autorità competenti la loro attività, in modo da coordinarsi con loro (cosa che già fanno, pur non ricevendo risposte o indicazioni per il Pos dalle autorità maltesi o italiane). Non dovrebbero invece mai comunicare la loro posizione alle imbarcazioni in partenza dalle coste del Nord e agli scafisti (cosa che in realtà non avviene e non è stata mai avvalorata da nessun procedimento giudiziario).

Tutto questo è "pura diffamazione", come ha spiegato a Fanpage.it Filippo Miraglia, responsabile nazionale di Arci immigrazione: "Tajani evidentemente non conosce la materia o è in malafede. Le navi delle Ong sono sempre rintracciabili, soprattutto se si tratta di imbarcazioni di grande stazza. Devono sempre avere un segnalatore Gps che consenta di localizzarle e tracciare i loro movimenti. Non devono insomma segnalare la loro posizione, come chiede il Viminale, perché tutti sanno dove si trovano, nel rispetto degli obblighi di legge".

"Tutte le comunicazioni delle navi da soccorso sono sempre pubbliche. Le navi si rivolgono sempre alle autorità dei Paesi coinvolti, Malta, Italia e spesso anche Libia, chiedendo un porto sicuro in cui attraccare e far scendere i naufraghi. Ma questi Paesi non danno mai segni di vita, perché ovviamente vogliono evitare di assumersi la responsabilità del soccorso".

"Chi alimenta le attività criminali e i traffici non sono le Ong, ma è il governo italiano, che da anni finanzia la cosiddetta Guardia costiera libica. Di recente il procuratore della Corte penale internazionale dell'Aja ha ribadito che in Libia vengono commessi crimini contro l'umanità e che c'è una sovrapposizione quasi totale tra le milizie che commettono questi crimini e la Guardia costiera. Queste bande praticamente ricevono finanziamenti dall'Italia e dall'Europa", ha aggiunto Miraglia.

I barconi sono sempre a rischio di naufragio

"Inoltre, come è noto, le navi intervengono perché sono obbligate a farlo. I comandanti delle navi violerebbero la legge se non intervenissero, nel caso in cui incrociassero un gommone o venissero a sapere della presenza nelle vicinanze di un barchino in una situazione di difficoltà. E tutte le barche che partono dalla Libia sono da considerarsi tali perché si tratta sempre di barche piccole, senza strumentazioni a bordo, che in teoria potrebbero ospitare 10 o 20 persone al massimo e ne ospitano invece quasi sempre 5 o 10 volte tanto. Quindi sono obbligatoriamente da salvare".

"Come è noto le convenzioni internazionali valgono più delle circolari e dei codici: i comandanti delle navi sono obbligati a rispettare le convenzioni internazionali, quindi devono intervenire, e una volta intervenuti devono garantire l'approdo nel porto sicuro più vicino", ha spiegato Miraglia.

Non è possibile fare quello che la presidente del Consiglio Meloni chiede da giorni, cioè distinguere tra un migrante e un naufrago, permettendo alle organizzazioni umanitarie di intervenire solo in caso di vera necessità e di rischio di naufragio. Proprio su questa distinzione si basa il decreto interministeriale firmato per la Humanity 1 e per la Geo Barents, che intimava alle imbarcazioni di fermarsi in rada, giusto il tempo necessario per verificare le condizioni dei migranti e far scendere solo i vulnerabili. Completata quest'operazione le navi avrebbero dovuto ritornare in acque internazionali, con i migranti ‘in salute' a bordo.

In questo modo il governo vorrebbe bypassare il principio di non respingimento: come spiega l'articolo 33 della Convenzione di Ginevra, un rifugiato non può vedersi impedito l'ingresso sul territorio, e non può essere respinto verso territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero in pericolo. La Corte europea dei diritti dell’uomo specifica anche che il divieto di refoulement si applica indipendentemente dal fatto che la persona sia stata riconosciuta rifugiata, e dall'esistenza o meno di una domanda diretta ad ottenere tale riconoscimento.

Il ministro Tajani da Bruxelles ha detto anche un'altra cosa: "La verità vera è che dovrebbero essere le navi mercantili a fare il soccorso in mare; evidentemente ci sono delle Ong che fanno un lavoro diverso per lasciare libere le navi mercantili dall'obbligo di soccorrere le persone in mare". 

Per Miraglia si tratta di una "sciocchezza": "Le navi mercantili quando incrociano un barchino devono intervenire, e in effetti lo fanno. Però noi sappiamo che i mercantili, se possono, evitano di imbarcare persone in difficoltà, perché questo comporta per loro un blocco della loro attività, che a volte può durare anche settimane o mesi, visto che i governi non rispondono".

Il governo vuole dare ai prefetti il potere di multare le Ong

Ma la stretta del governo Meloni contro le Ong, secondo la strategia del Viminale, ruota soprattutto attorno alla possibilità di spostare la gestione delle sanzioni per le navi dalle procure alle prefetture. In questo modo, in caso di violazione dei decreti interministeriali che impongono i divieti per le navi di entrare in acque italiane, sarà direttamente il Viminale, attraverso i prefetti, a infliggere le sanzioni amministrative, valutare tempestivamente il sequestro e l'eventuale confisca delle navi. Le multe non dovrebbero essere aumentate: resterebbero tra i 10 e i 50mila euro.

Secondo Miraglia però, anche se il governo dovesse riuscire a introdurre quest'escamotage, "ci saranno certamente ricorsi nei tribunali amministrativi. E fino ad ora tutte le volte che le Ong sono state sottoposte a multe e hanno fatto ricorso in un tribunale hanno sempre vinto, perché è la legge che le obbliga a comportarsi come si comportano".

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