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Omicidio Saman Abbas

Saman Abbas, minacce e pressioni dal Pakistan sul fratello testimone chiave: aperta indagine

La Procura di Reggio Emilia ha aperto una indagine su pressioni e minacce dal Pakistan al fratello di Saman Abbas affinché ritratti le dichiarazioni fatte o eviti di testimoniare nel processo sulla morte della 18enne pakistana. Il suo intervento in aula è fissato per il 27 ottobre.
A cura di Ida Artiaco
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Saman Abbas e il padre Shabbar. 
Saman Abbas e il padre Shabbar. 
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Il prossimo 27 ottobre è in programma una delle udienze più attese del processo relativo alla morte di Saman Abbas, la 18enne pakistana scomparsa a maggio del 2021 e trovata cadavere lo scorso novembre nei pressi di un casolare a Novellara. Si tratta di quella del fratellino della ragazza, considerato testimone chiave dell'accusa contro i familiari imputati, e cioè il padre Shabbar Abbas, lo zio Hasnain Danish, a cugini Nomanulhaq Nomanulhaq e Ijaz Ikra, e la madre Nazia Shaheen.

A tal proposito la Procura di Reggio Emilia ha fatto sapere di aver aperto delle indagini su pressioni e minacce dal Pakistan ricevute dal giovane affinché ritratti le dichiarazioni fatte o eviti di testimoniare nel processo.

Il procuratore Gaetano Calogero Paci ha aperto un fascicolo contro ignoti e i carabinieri hanno acquisito copia di messaggi, forniti dallo stesso giovane che alla fine della settimana sarà sentito in aula davanti ai giudici della Corte d'Assise. Dagli accertamenti emerge che ha mantenuto contatti con la madre e con familiari in Pakistan che, soprattutto quando c'è stata l'estradizione del padre, hanno portato avanti le pressioni.

Saman Abbas
Saman Abbas

Il fratello di Saman, oggi maggiorenne, ma all'epoca dei fatti minorenne, era stato sentito nei giorni successivi alla scomparsa della 18enne da Novellara, avvenuta nella notte tra il 30 aprile e primo maggio 2021, e aveva accusato i familiari dell'omicidio della sorella, in particolare lo zio Danish Hasnain. La sua versione è stata ribadita in seguito in un incidente probatorio.

Ma in aula, nel dibattimento in corso, i difensori degli imputati hanno chiesto e ottenuto una nuova audizione del giovane. I carabinieri del nucleo investigativo di Reggio Emilia hanno ricostruito come i contatti con la madre Nazia Shaheen ci siano stati attraverso un profilo social di una parente, che ha fatto da intermediaria, con diversi accorgimenti per non farsi localizzare.

La madre, unica imputata nel processo latitante, nei mesi scorsi avrebbe tentato di convincerlo a non dire nulla su quanto successo, a lasciare l'Italia per andare in Pakistan da lei o in altri Paesi europei, così da evitare la testimonianza. Ci sono poi messaggi di preoccupazione del ragazzo in merito all'estradizione del padre. Ad un certo punto dice alla madre che ha di fronte solo due opzioni: morire prima dell'8 settembre, quando era inizialmente fissata la sua testimonianza, oppure passare "tutta la vita in carcere", presumibilmente per i familiari.

I Ris sul luogo del ritrovamento del cadavere di Saman
I Ris sul luogo del ritrovamento del cadavere di Saman

In un'altra telefonata, del 14 giugno, il padre invece sembra tentare di convincere il figlio ad addossare la colpa di quanto successo ad un altro parente, diverso dai cinque imputati: "Tu – rivolto al ragazzo – devi dire che Danish e gli altri non hanno nessuna colpa, lui (l’altro parente) è venuto a casa nostra e ha detto che ci penso io ad ammazzarla, tu così devi dire… adesso dobbiamo incastrare a questo qui". Il giorno, dopo la madre sembra invece provare a dire al ragazzo che Saman non era morta: "Ascoltami, la tua sorella è qui. Dio farà il bene e verrà ritrovata anche lei. Lei tornerà".

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