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Quarantuno coltellate per Cinzia Santulli e quell’assassino colpevole solo a metà

Cinzia Santulli viene trovata uccisa con 41 coltellate nell’intimità del suo appartamento ad Aversa, nel 1990. Nessun segno di effrazione, nessun nemico, nessun movente. Poi il fantasma che l’ha sorpresa in casa prende forma e volto e viene processato, ma con un esito sconcertante: innocente in sede penale, colpevole in sede civile. Praticamente libero. È lo strano caso dell’omicidio Santulli.
A cura di Angela Marino
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Il caso Cinzia Santulli, in Italia non ha alcun precedente, ma è una delle anomalie giudiziarie del nostro Paese, un esempio di come il sistema talvolta possa operare su strade contorte e distoniche. È la storia di un omicidio con una doppia sentenza: colpevole e innocente.

Per raccontare la storia di Cinzia, dobbiamo partire dall'inizio. È il 1990. Cinzia, insegnante ed esperta di fisioterapia e riabilitazione, esce da un lungo fidanzamento interrotto alla soglia dei 30 anni, quando lei il suo compagno si erano scoperti ormai due adulti molto diversi dai ragazzi che si tenevano per mano. Terza di tre figli di genitori separati, vive da sola nel suo appartamento, derogando con tale scelta alle convenzioni che, in una provincia ovattata e conservatrice come quella di Caserta, vorrebbero la donna in casa con i genitori o col marito. A guardarla così, dall’esterno, Cinzia è l’immagine della serenità e dell’equilibrio, eppure il suo mondo sta per essere violato da una presenza oscura che vi entrerà, come spesso accade, della porta principale.

L'omicidio di Cinzia Santulli

Il 24 novembre 1990 è il giorno. Nulla nelle azioni che Cinzia fa nella quella mattina annuncia la tragedia imminente. È sabato, sbriga normalmente i suoi impegni di lavoro, vede suo fratello Paolo, con il quale concorda di rivedersi nel pomeriggio a casa sua, pranza con la madre, poi si ritira nel suo appartamento, aspettando la visita di suo fratello. Poco dopo il campanello trilla, ma non è Paolo. Quella sera stesa Cinzia viene trovata martoriata da 41 coltellate inferte in tutte le parti del corpo. Chi è stato? Chi mai poteva volere la morte di una ragazza come Cinzia? Non un fidanzato geloso o un ex fidanzato, considerati i rapporti con l'unico ex, non un nemico, a giudicare da quanto era stimata e benvoluta da tutti, ma forse uno sconosciuto a cui ha malauguratamente aperto la porta, un estraneo che ha carpito la sua fiducia presentandosi come qualcun altro, forse.

La psicosi del mostro

Ad Aversa, dove altri delitti simili sono andati in scena nello stesso periodo, dilaga la psicosi del mostro. Le ragazze e le donne si sentono bersaglio dell’oscuro assalitore col coltello. Ma l’assassino di Cinzia non è un estraneo, non per lei. La casa, per cominciare, è intonsa. Nessuno ha portato via preziosi, denaro e neanche dato il segno di cercarli, in verità. Anche la posizione del corpo, trovato riverso in camera da letto, con i vestiti addosso, racconta di un'aggressione avvenuta a sorpresa per mano di qualcuno da cui Cinzia non temeva alcun male. Si parla di ‘intimità' tra la vittima e il carnefice, benché sul corpo non ci siano segni di violenza carnale, e allora si scandaglia immediatamente la vita privata di Cinzia, ma chi era sentimentalmente coinvolto ha un alibi, così pure i fratelli e familiari. Chi è stato allora? Al microscopio viene passato quel gruppetto di amici e coetanei che Cinzia frequenta ad Aversa. Tra i conoscenti spunta un trentenne descritto da tutti come ‘problematico’, un ragazzo con disturbi psichici che si era avvicinato a Cinzia e che lei, per carattere e deformazione professionale, aveva accolto e non respinto. Lui si chiama Ludovico Santagata e, come Cinzia, appartiene a una rispettata famiglia della borghesia aversana. Cinzia è sempre stata aperta e disponibile con lui che, forse, ha frainteso. Forse.

Ludovico Santagàta

La sera stessa del delitto viene sottoposto a interrogatorio. Un testimone lo colloca sotto casa di Cinzia proprio poco prima dell’ora del delitto, ma lui dichiara che in quel momento era altrove. L'alibi, confermato dai suoi familiari, si rivela un vero e proprio boomerang visto che nessuno poteva dire, quella sera stessa, a che ora fosse morta esattamente Cinzia, eccetto il suo assassino. L’autopsia, infatti, avrebbe fatto risalire la morte a due ore dopo l’ultimo pasto, consumato alle 14 del 24 con la mamma, quindi intorno o poco dopo le 16. Santagata, di contro, era stato visto da un negoziante nei pressi dell’abitazione della vittima alle 15 e 30, ma agli inquirenti aveva dichiarato di essere stato in casa fino alle 17 e 20. Un alibi, dunque, non solo compromettente, ma anche smentito.

Il movente

Perché, tuttavia, Ludovico Santagata avrebbe dovuto uccidere Cinzia Santulli? I due non erano legati sentimentalmente, anche se un amico del Santagata ebbe modo di testimoniare di una lettera che Cinzia avrebbe scritto a Ludovico e che lui avrebbe distrutto, fatto questo, letto dagli inquirenti come sintomo di sentimenti controversi nei confronti della ragazza. Ludovico, però, e questo è un elemento che peserà, è un giovane uomo tormentato e sofferente, vittima delle sue ossessioni, un ragazzo che ha trovato conforto e comprensione solo nel rapporto con sua madre e che ha difficoltà a relazionarsi con gli altri.

Il processo

Alla fine Santagata viene rinviato a giudizio. Contro di lui ci sono tre elementi: l’essere stato visto nei pressi dell’abitazione della vittima in un ora prossima a quella dell’omicidio; la falsità dell’alibi offerto e la circostanza che fosse stato fornito in un momento nel quale non era ancora nota l’ora del decesso; la sua personalità. A favore, altrettanti: l’assenza di tracce da difesa sul suo corpo, il fatto che un’impronta di scarpa ritenuta appartenere all’assassino fosse incompatibile con la sua misura e la difficoltà di ripulirsi e ripulire l’appartamento dalle sue tracce in un breve tempo. L’ago della bilancia, alla fine, con grande costernazione della famiglia Santulli, pende in favore dell’innocenza del Santagata che in sede penale viene assolto per insufficienza di prove.

Doppia sentenza

L’omicidio di Cinzia Santilli sembra destinato a restare un cold case, uno dei tanti incubi di provincia e invece la Corte di Cassazione, con sentenza del 2002, condanna l’assassino di Cinzia al risarcimento di 1 lira simbolica (come richiesto dai familiari) per l’omicidio della ragazza. Il suo nome è Ludovico Santagata, lo stesso che i giudici avevano assolto per in tre gradi di giudizio viene riconosciuto colpevole solo in sede civile, dove i fratelli Santulli hanno potuto fare ricorso per ottenere un risarcimento, quello di 1 lira, che aveva il solo scopo di ottenere che il nome dell’assassino di Cinzia fosse scritto su una sentenza. Dopo il verdetto della Cassazione, contro il quale, inutilmente aveva fatto ricorso la difesa del Santagata, i familiari di Cinzia tappezzano la cittadina di Aversa di manifesti dove si legge che ‘Ludovico Santagata è l’assassino di Cinzia Santulli'. Non una vendetta né una rivincita, ma un modo per protestare contro un sistema che riconosce le colpe e lascia chi le ha commesse libero di ripetere ciò che ha fatto.

Dopo diciassette anni dai fatti, il delitto di Cinzia Santulli è uscito dal cono d’ombra dei vecchi cold case, ma ci sono ancora tanti dubbi. “Io e la mia famiglia abbiamo sempre pensato che l’autore dell’omicidio di mia sorella non possa aver fatto tutto da solo, che sia stato aiutato a ripulire la scena, così come poi è stata trovata. Qualcuno lo ha protetto”, dice oggi, a distanza di 30 anni il fratello di Cinzia. Di lei resta la targa che dà il nome il centro di riabilitazione intitolato alla sua memoria. E la gelida consapevolezza che il male si può insinuare anche in un mondo sereno e luminoso come quello che fu di Cinzia.

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Giornalista dal 2012, scrittrice. Per Fanpage.it mi occupo di cronaca nera nazionale. Ho lavorato al Corriere del Mezzogiorno e in alcuni quotidiani online occupandomi sempre di cronaca. Nel 2014, per Round Robin editore ho scritto il libro reportage sulle ecomafie, ‘C’era una volta il re Fiamma’.
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