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Opinioni

Qualcuno dica ad Alessandro Borghese che lavorare gratis non è un’opzione in un Paese civile

È tornato il tormentone primaverile dei giovani che non vogliono lavorare e pensano solo a divertirsi. Per Alessandro Borghese “lavorare non significa per forza essere pagati”. Ci aspettiamo di andare a mangiare al suo ristorante e non saldare il conto, allora.
A cura di Tommaso Coluzzi
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Ci siamo, è quel periodo dell'anno in cui torna il solito tormentone in vista dell'estate. No, non si tratta della nuova canzone di Giusy Ferreri o di Nicky Jam, ma del fatto che i giovani sono pigri, svogliati, non hanno spirito di sacrificio, non vogliono sporcarsi le mani e tutti gli altri luoghi comuni possibili e immaginabili. E anche stavolta è salito alla ribalta Alessandro Borghese, famosissimo chef e personaggio televisivo: "Lavorare non significa essere per forza pagati", ha detto in un'intervista al Corriere della Sera. È scontato dire che, a questo punto, chi dovesse capitare al ristorante di Borghese potrà – a buon diritto – ringraziare a fine cena, salutare e andar via senza saldare il conto. Mica è obbligatorio, no?

Intendiamoci, qui nessuno vuole sminuire il valore della gavetta. Ma un conto è imparare, un conto è sfruttare. La differenza è chiara e chi fa finta di non vederla è complice di questo gioco al massacro e di una narrazione tossica. Sì, perché per Borghese è addirittura "un problema generazionale", perché mancano "devozione" e "spirito di sacrificio". Insomma, tutti alla gogna, indistintamente. Una generazione intera bollata dalla paternale infuocata dello chef romano, che tanto ama puntare il dito. Il Borghese-pensiero è noto da tempo: pochi mesi fa si lamentava del fatto che i giovani volessero "garanzie per lavorare".

In pratica, secondo Borghese, chi si trova a "lavorare per imparare" – magari dopo essersi formato per anni e anni – non deve essere né pagato né garantito in alcun modo. A fine giornata due frustate non guastano (questo lo aggiungo io). E silenzio, please. Intanto la disoccupazione giovanile è alle stelle, mentre i dati parlano di contratti precari che possono durare anche pochi giorni. C'è oltre un milione di under 35 che cerca attivamente lavoro. Poi lo rifiuta perché pigro? Perché poco predisposto al sacrificio come dice Borghese? E se il Covid – come commentano in molti – fosse servito veramente a mettere un punto da parte di chi è sfruttato non potremmo che festeggiare. In un Paese civile sarebbe una buona notizia.

È tornata la bella stagione, dicevamo. Come lo scorso anno molte attività stanno cercando lavoratori stagionali senza trovarne. La combo perfetta con la storia dei "choosy" dell'ex ministra Fornero la regala una misura nata per contrastare la povertà: il reddito di cittadinanza. Ed ecco che, al primo sole che scalda la pelle dei turisti stranieri scoperta dalle mezze maniche, assieme al puntualissimo allarme degli imprenditori arriva l'attacco del ministro leghista Garavaglia: "Il reddito di cittadinanza affossa il turismo". Insomma, passano gli anni ma le scuse restano sempre le stesse. Non ci sono più i ragazzi e le ragazze che vogliono sporcarsi le mani signora mia, preferiscono il sussidio.

Come ogni anno scattano le stesse lamentele, nell'attesa di rivedere dirigenti e imprenditori popolare i salotti televisivi per infierire gratuitamente contro una intera generazione. A loro vorrei che arrivasse un messaggio chiaro, compreso Borghese: se proponete ai giovani di lavorare gratis o con stipendi da fame e vi dicono di no, provate a pagarli decentemente e vedrete che potrete ribaltare il risultato.

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Giornalista, mi occupo di politica su Fanpage.it. Appassionato di temi noiosi, come le storie e i diritti degli ultimi: dai migranti ai giovani lavoratori sfruttati. Ho scritto "Il sound della frontiera", un libro sull'immaginario americano e la musica folk.
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