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Protezione per il pentito Bonaventura: la petizione su Change raccoglie oltre 15mila firme

La petizione si rivolge direttamente al premier Matteo Renzi, e quello che si chiede è più protezione. In che termini? Il pentito denuncia: “L’anno scorso avevo concordato con il servizio centrale che, per ragioni di sicurezza, sarei stato trasferito all’estero. Ma dopo più di un anno non è cambiato niente”.
A cura di Gaia Bozza
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Luigi Bonaventura collabora con undici procure d'Italia e con una straniera. E' uno dei pochi pentiti di ‘Ndrangheta in Italia, ex reggente della cosca Vrenna-Bonaventura, ritenuto unanimemente molto attendibile. E da poco lavora anche con la Dda di Venezia, per ricostruire i legami della ‘Ndrangheta con l'imprenditoria. Ma a Venezia ci va “con un'auto scassata, al posto di quella blindata, c0me era prima”, nella quale “è facile che qualcuno possa farti fuori a pietrate”. E' solo la punta dell'iceberg, per il collaboratore di giustizia crotonese, che commenta piacevolmente sorpreso le oltre 15mila firme apposte sotto la petizione su Change.org, lanciata da un attivista antimafia qualche settimana fa.

La petizione si rivolge direttamente al premier Matteo Renzi, e quello che si chiede è più protezione. In che termini? Il pentito denuncia: “L'anno scorso avevo concordato con il servizio centrale che, per ragioni di sicurezza, sarei stato trasferito all'estero. Ma dopo più di un anno non è cambiato niente. Da Termoli, dove ho ricevuto anche minacce, sono stato trasferito in via provvisoria in un'altra località più sicura, in attesa di espatriare, ma nulla è cambiato, dopo le promesse”. Tra le altre cose, Bonaventura denuncia da tempo falle nel programma di protezione: “In questi mesi non è stato fatto nulla, anche i dati delle tessere sanitarie sono stati convertiti solo in parte e la casa nella quale abito è tenuta molto male”. L'aspetto più grave di tutta la vicenda, secondo il collaboratore di giustizia, è che “non c'è una adeguata protezione, né inserimento sociolavorativo, né tutela per la mia famiglia, i miei figli, che non c'entrano nulla con la mafia. Siamo inoltre senza documenti di copertura”.

“La colpa – si sfoga – è di quella parte di politica che non vuole dare la disponibilità e gli strumenti giusti per far funzionare il programma di protezione”. In che senso? “Dare strumenti concreti per l’inserimento socio-lavorativo, accelerare i tempi per gli accordi bilaterali con altri Stati, per ampliare il raggio d’azione in Europa: così sarebbe più facile proteggere collaboratori e testimoni di giustizia”. Per Bonaventura, “bisognerebbe poi coinvolgere uomini di qualità, non solo militari ma educatori e psicologi, perché uno come me, cresciuto in una famiglia mafiosa, ha bisogno di un programma di riabilitazione”. Nonostante tutto, Bonaventura rassicura: "Sono fedele all'impegno preso con lo Stato italiano, perché credo nella giustizia.  Non ho mai ritrattato e sono rimasto sempre coerente, ma senza strumenti e protezione adeguati sono solo prigioniero della mia condizione".

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