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Pronto soccorso la manda a casa, Francesca muore di infarto: Asl condannata, ha sottovalutato sintomi

Francesca Camiciottoli è morta il 17 febbraio 2015 a Piombino. Dopo 9 anni sono stati condannati al risarcimento i medici del pronto soccorso che qualche giorno prima non si erano accorti dei problemi al cuore e l’avevano dimessa senza disporre ulteriori accertamenti né terapie.
A cura di Biagio Chiariello
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Francesca Camiciottoli fu uccisa a 40 anni da un infarto il 17 febbraio 2015. Morì in casa, malgrado cinque giorni prima fosse stata visitata da un medico del pronto soccorso di Villamarina di Piombino, in provincia di Grosseto.

Un errore di diagnosi, e quindi di tipologie di interventi, per il quale i giudici del Tribunale di Livorno hanno condannato i medici e e l’Asl Toscana Nord Ovest a risarcire i familiari della donna: alla figlia, all’epoca 13enne, andranno 325mila euro, al padre 225mila euro e al fratello 90mila euro, a titolo di risarcimento danni per la perdita del congiunto.

I fatti risalgono dunque al febbraio di 9 anni fa. La prima visita risale al 12 febbraio: Francesca da alcuni giorni lamenta dolori al braccio sinistro e al palato. Sembrano i sintomi di un arresto cardiaco, ma lei non ha mai sofferto di cuore. Su consiglio del compagno decide di andare al pronto soccorso. Viene sottoposto a un elettrocardiogramma e a un prelievo di sangue. Viene controllato anche il parametro degli enzimi. Nel giro di due ore la paziente viene dimessa, senza disporre ulteriori accertamenti né terapie.

Passa qualche altro giorno, ma la situazione non cambia. Così il 16 febbraio la donna si fa controllare da un cardiologo in uno studio privato. Lo specialista le consiglia una terapia e il ricovero in caso di un qualunque futuro sintomo. Ma è troppo tardi. La mattina dopo il cuore si ferma e Francesca muore sotto gli occhi del compagno.

"La causa della morte della donna è ascrivibile ad una aritmia maligna improvvisa su base ischemica, innescata dalla predetta patologia", spiegano i giudici nella sentenza. Nessun dubbio sul fatto che i medici del pronto soccorso abbiano sottovalutato i sintomi della donna. Come si legge, l'Asl è stata condannata per "non aver considerato sospetti di angina pectoris i sintomi riferiti dalla paziente: nonostante l’età e il genere la ponessero statisticamente in una classe demografica di rischio coronarico bassa, alcune caratteristiche tipiche dei sintomi, la presenza di alcuni fattori di rischio cardiovascolare e la presenza di un Ecg alterato avrebbero dovuto sollevare il sospetto di un problema cardiologico in atto".

E ancora: "Nello specifico, le alterazioni elettrocardiografiche erano ai limiti per essere considerate indicative di sindrome coronarica acuta ad alto rischio e, prudentemente, i sanitari avrebbero potuto richiedere una valutazione cardiologica immediata in vista di studio coronarografico entro le 24 ore".

Assolto invece lo specialista, la cui condotta è stata ritenuta legittima e priva di responsabilità perché l’evento ischemico a quel punto era passato. Il cardiologo aveva comunque disposto una cura e un possibile percorso terapeutico, ma oramai era troppo tardi.

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