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Perché l’America impazzisce per il Superbowl e per i Philadelphia Eagles

E’ finita come nei sogni americani. I grandi sfavoriti, i Philadelphia Eagles, vincono il Superbowl sui New England Patriots. Doveva essere la notte di Tom Brady, il più anziano a giocare il match che vale la stagione NFL. Diventa la favola di Nick Foles, l’MVP che ha iniziato la regular season da riserva.
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Il trionfo degli underdogs. Il sogno dei Philadelphia Eagles è di quelli che non fa svegliare. Doveva essere la notte di Tom Brady, dei record, dei New England Patriots. Invece, il 52mo Superbowl si trasforma nel riscatto di Nick Foles, nel crepuscolo degli idoli, in un pezzo di storia americana. Finisce 41-33, la giocano gli attacchi (1151 yards totali, record all time per un match di post season), la vince una squadra che ha saputo superare le avversità di una stagione complicata. Trionfa l'underdog degli underdogs, Foles, che a inizio anno partiva da riserva e chiude col premio di MVP della partita che vale una carriera.

Nick Foles, l'underdog degli underdogs

Nick Foles ha iniziato da riserva di Carson Wentz. Ma dopo il suo infortunio, si è preso le luci del proscenio e ha guidato gli Eagles, le aquile della città dell'amore fraterno, al primo Superbowl dal 2004.

Il suo è un viaggio diverso da quello di Brady. Marito e padre, ha incontrato la moglie Tori, alzatrice della squadra di pallavolo, nel campus dell'Università dell'Arizona. “Ogni giorno, quando torno dagli allenamenti, penso che l'unica cosa che conti davvero sia vedere mia moglie e mia figlia Tori, che ha un anno. Voglio che un giorno possa essere fiera del suo papà”. 373 yards, 28 passaggi riusciti su 43, tre giocate da touchdown aiutano eccome.

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Tom Brady, la caduta dell'eroe

Questa, per molti, doveva essere la notte di Tom Brady. A 40 anni e 185 giorni, è il più anziano a giocare un Superbowl e a guidare la classifica per yards lanciate (4577 in regular season). Ne aggiunge 505 a Minneapolis, record all time nella storia del Superbowl. Vanta due delle tre sole prestazioni sopra le 400 yards nel match che vale una stagione ma non bastano a rompere una maledizione. Nessun quarterback ha mai vinto il Superbowl da leader della classifica di yards lanciate: Peyton Manning, Rich Gannon, Kurt Warner, Dan Marino hanno fallito. Brady ha fallito due volte, si era presentato da recordman anche nel Superbowl 2007, perso contro i Giants. La sua unica sconfitta, prima di Minneapolis.

Brady beve 37 bicchieri d'acqua al giorno, almeno la metà del suo peso in acqua. Ma certo non basta questo a renderlo una leggenda del football e il marito di Giselle Bundchen.

Se si esclude l'anno dell'esordio e quello saltato per infortunio, ha giocato il Superbowl nella metà delle stagioni in cui si articola la sua carriera da leggenda. Un posto nella Hall of Fame non glielo toglie nessuno.

Quarto Patriot a giocare a più di quarant'anni, dodicesimo quarter-back over 40 a scendere in campo in NFL, non aveva ancora mai perso un Superbowl contro una squadra che porta il nome di un animale, ma nella vita c'è sempre una prima volta.

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Il trofeo è dedicato a Vince Lombardi

Gli Eagles sognavano la vittoria dal giorno di Santo Stefano del 1960, il giorno che ha cambiato la storia del football. Allora, l'evento non è ancora il fenomeno che conosciamo oggi. E' la partita che mette di fronte i campioni della National Football League e della concorrente American Football League, che poi confluirà nella NFL dal 1970.

Gli Eagles vinsero a Franklin Fields contro i Green Bay Packers allenati dal figlio di un macellaio italiano, primo figlio di una famiglia che arriva da Salerno e Vietri di Potenza. “Di coach che sanno scrivere uno schema alla lavagna ne trovi dozzine – sosteneva -. I pochi che vincono sanno entrare dentro i loro giocatori e motivarli”. Vincere, diceva, è l'unica cosa che conta.

Quel giorno i suoi Packers perdono 17-13. Cappello largo e cervello fino, il figlio del macellaio promette: “Non perderemo mai più un'altra finale!”. E così sarà. Inizia così la scalata della prima superstar del football professionistico, l'uomo a cui oggi è dedicato il trofeo per il vincitore del Superbowl, Vince Lombardi, che conquista 5 titoli in 7 anni. Diventa talmente importante e celebre che Richard Nixon e Hubert Humphrey, nella drammatica convention democratica di Chicago, penseranno a lui come possibile nome da proporre come vice-presidente da presentare alle elezioni del 1968. Lombardi ha il carisma del duro che piace ai repubblicani ma vota democratico. Alla fine non se ne farà nulla.

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Cominciò tutto con un giocattolo

Ma Lamar Hunt, il proprietario dei Kansas City Chiefs cui oggi è dedicata la Us Open Cup, fondatore anche del World Championship Tennis, ha intuito che qualcosa non funziona. Il nome ufficiale della sfida, AFL-NFL World Championship Game, non è adatto. C'è però un giocattolo che va molto di moda in quegli anni, la Super Ball, una palla rimbalzina rivestita di una particolare gomma sintetica. Ci giocano anche i suoi figli, così Hunt ha un'illuminazione e scrive al commissioner della lega, Pete Rozelle. “Ho pensato scherzosamente di chiamare il trofeo Super Bowl, ma ovviamente si può fare di meglio”. È il 23 luglio 1966, da allora non si è ancora nessuno che abbia saputo fare qualcosa di meglio, qualcosa di più.

Un evento senza precedenti

Il Superbowl di Minneapolis, il più freddo di sempre, si gioca davanti a 66 mila spettatori: sul mercato secondario, i biglietti arrivano a costare anche 3 mila dollari. L'evento sportivo dell'anno negli Usa, ritrasmesso in 170 nazioni, con un valore che Forbes stima in 470 milioni di dollari, è un trionfo per gli sponsor che spendono fino a 5 milioni di dollari per uno spot da 30 secondi. Anche se, sottolinea Fabio Fantoni sul Sole 24 Ore, “si delinea uno scenario abbastanza curioso in cui, pur aumentando sempre il costo degli spot televisivi, sembra che il numero di spettatori “acquistati” per ogni dollaro speso, sia storicamente in calo”. Ma vanno considerate anche le interazioni social, che l'anno scorso hanno sfiorato i 200 milioni.

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Trump, il grande assente

Justin Timberlake, come da programma ha cantato all'intervallo, senza l'ologramma di Prince però. Ma il grande assente è un altro. Donald Trump ha rotto la tradizione dell'intervista del presidente Usa prima del Superbowl, trasmesso negli Usa da NBC, con cui non ha rapporti troppo amichevoli. Ma la contrapposizione con la NFL risalgono all'epoca in cui possedeva la franchigia dei New Jersey Generals, che giocava nella rivale USFL, e fece causa alla NFL per 1,76 milioni di dollari accusando la lega di una posizione di monopolio: ottenne solo 3 dollari e 76. E la posizione di Trump contro le proteste di Colin Caepernik sui diritti civili non hanno certo aiutato.

Come non aiuta l'ombra sempre più densa dei rapporti oscuri con la Russia. Nel 2005 proprio dopo una visita di Robert Kraft, proprietario dei Patriots, a Mosca, i due governi hanno rischiato la crisi diplomatica. Vladimir Putin ha preso l'anello del Superbowl appena vinto di Kraft. “Con questo potrei uccidere qualcuno” esclama, poi se lo mette in tasca e se ne va. Kraft cerca di farselo restituire, non solo perché vale 25 mila dollari. Ma la Casa Bianca lo convince a desistere. “Nell'interesse delle relazioni fra Usa e Russia, sarebbe meglio se dicessi che l'hai voluto donare come regalo”. È quello che farà. Perché il Superbowl è più di una partita. È molto più di un gioco.

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