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Il caso di Chico Forti

Perché Chico Forti è stato condannato all’ergastolo e quali sono gli elementi di colpevolezza per gli Usa

Chico Forti è da poco rientrato in Italia. Il 65enne è stato condannato all’ergastolo per l’omicidio del 42enne Dale Pike, avvenuto a Miami nel 1998, ed è stato rinchiuso in un carcere della Florida per più di 20 anni. Un delitto per il quale Forti si è sempre dichiarato innocente. Fanpage.it ha parlato con il criminologo Marco Strano, che si è occupato del caso, degli elementi che hanno portato alla sua condanna negli Usa.
A cura di Eleonora Panseri
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Chico Forti (a sinistra) e Dale Pike (a destra)
Chico Forti (a sinistra) e Dale Pike (a destra)
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Pochi giorni fa Chico Forti è rientrato in ItaliaIl 65enne trentino è stato condannato all'ergastolo per l'omicidio del 42enne Dale Pike, avvenuto a Miami nel 1998, ed è rimasto rinchiuso in un carcere della Florida per più di 20 anni. Un delitto per il quale Forti si è sempre dichiarato innocente.

Grazie a un accordo tra gli Stati Uniti e il nostro Paese, a Forti è stata concessa la possibilità di di scontare la sua pena in Italia. Qui, come sostenuto dal suo legale e da chi difende la sua innocenza, potrà avere accesso a un trattamento diverso da quello avuto fino a oggi.

Ma quali sono stati gli elementi che hanno portato alla condanna dell'uomo negli Stati Uniti? Fanpage.it ne ha parlato con Marco Strano, criminologo, dirigente della Polizia di Stato in pensione ed esperto di Psicologia connessa all'attività di Polizia.

Strano in passato si è occupato a lungo del caso Chico Forti: ha scritto un libro, Cherry Picking. La strategia di un assassino. Analisi criminologica del caso Chico Forti, in cui ha descritto nel dettaglio il suo lavoro sulla vicenda, e ha partecipato al documentario di Andrea Lombardi (Chico Forti: l’assassino che ci ha ingannati per vent’anni).

Il criminologo Marco Strano
Il criminologo Marco Strano

Dottor Strano, quali sono gli elementi che hanno portato alla condanna di Chico Forti negli Stati Uniti?

Va premesso che le sentenze negli Stati Uniti non sono mai motivate. La giuria popolare, preso atto di quanto prospettato dall'accusa e ascoltato quanto detto dalla difesa, stabilisce solamente se la persona è innocente o colpevole al di là di ogni ragionevole dubbio. Da noi, invece, la sentenza va motivata perché può essere appellata.

Il primo elemento che ha portato alla condanna è il movente, molto forte, perché la vittima (Dale Pike, ndr) aveva la possibilità di ostacolare un business fondamentale per Chico Forti, ovvero quello di intestarsi l'albergo della famiglia Pike (il Pikes, molto noto all'epoca per aver ospitato personaggi del mondo dello spettacolo, ndr). Un'operazione attraverso la quale avrebbe ottenuto dei prestiti dalle banche di Miami, dando in garanzia questo hotel.

Infatti, al momento dell'omicidio, Forti era in una difficile situazione economica, aveva debiti. Non si è capito se per operazioni finanziarie sul mercato immobiliare avventate o perché era in contatto con personaggi un po' ‘particolari'. E questo è l'altro problema: Forti aveva tutta una serie di amicizie con gente legata alla malavita.

Thomas Knott, che era un truffatore (vicino di casa e conoscente di Forti, ndr), ma anche poliziotti corrotti, come Gary Schiaffo, un agente di Miami poi arrestato a distanza di anni. Veramente, contatti con la parte peggiore della città. Aveva quindi assoluta urgenza di dimostrare che era in atto una compravendita. Era proprietario anche di appartamenti ma non sappiamo se erano in fase di pignoramento, ci risulta solo che era una fase di grande difficoltà.

Ed è quindi per questo motivo che Forti aveva incontrato Dale Pike a Miami?

Sì, il figlio del proprietario dell'albergo, Dale Pike, era andato a Miami proprio per verificare la consistenza economica di Forti. E questo, anche se io già lo sapevo, me lo ha confermato due mesi fa anche la fidanzata della vittima, che vive ancora in Australia e ora è una donna di una certa età.

Mi ha raccontato che né lui né la madre si fidavano di Forti, che aveva dato loro già 25mila dollari in titoli. La famiglia Pike aveva il sospetto che fossero gli unici soldi che era riuscito a rimediare. Dato che questo albergo, secondo loro, valeva 5milioni di dollari (forse ne valeva anche meno, ma parliamo sempre di 1-2 milioni), volevano capire le disponibilità di Forti, dato che si trattava di una cifra importante.

Dale Pike aveva quindi una procura firmata dal padre per tutto ciò che riguardava la compravendita e gli affari legati all'albergo. Forti sapeva che Dale Pike si era messo di traverso o che quantomeno voleva vederci chiaro perché c'erano stati precedenti contatti, telefonati, ma della procura o del fatto che il figlio di Tony voleva essere sicuro dei soldi ha scoperto solamente dopo averlo raggiunto in aeroporto.

I due avrebbero dovuto raggiungere la casa di Forti, ma, dopo aver parlato con la vittima, si è diretto verso la scena del crimine che conosceva bene, sapeva che era una zona isolata. Ed è questo ciò che ha convinto gli investigatori sul fatto che l'omicidio non fosse tanto premeditato, ma che Forti avesse deciso di ucciderlo solo dopo aver saputo della procura fatta al figlio, quando Pike gli ha detto: ‘Guarda che io ho delle grosse perplessità su questo affare'.

Poi cosa sarebbe accaduto, secondo la ricostruzione dell'accusa?

A quel punto Forti avrebbe perso la testa, capendo che senza quell'affare sarebbe stato rovinato. Sarebbe anche andato in carcere perché, da ciò che sappiamo, faceva operazioni immobiliari senza averne licenza e già era sotto gli occhi delle varie agenzie che qui si occupano di casi come il suo.

La difesa ha sostenuto e sostiene che Tony Pike fosse proprietario solo per il 5% dell'hotel e che quindi la tesi del raggiro da parte di Forti non reggeva. Ma io ho contattato l'attuale proprietaria dell'albergo che mi ha confermato il fatto che il 95% della proprietà era intestato a una società off shore ma sempre di proprietà di Tony Pike.

Inoltre, Forti aveva rubato dei documenti dall'ufficio di Tony Pike a Ibiza, lo testimoniò lo stesso Tony al processo, e aveva in seguito creato documenti falsi e fabbricato sigilli notarili falsi, secondo quanto riferito dal Procuratore Redi Rubin nell'arringa finale. La difesa non si oppose, quindi durante il processo ciò è stato formalmente dimostrato. Questo testimonia che Forti era comunque incline al sotterfugio e alla giuria questo fatto non è piaciuto.

Si parla molto anche dell'arma del delitto, una pistola calibra 22, che non è mai stata ritrovata.

Forti aveva bisogno di una pistola pulita, ne aveva già una regolarmente denunciata, una calibro 38, ma ne voleva un'altra. Con Thomas Knott sono andati quindi in questo grande magazzino che vende di tutto, anche armi, e ha chiesto di intestarsela. Io ci sono stato per fare delle prove e capire quanto era facile comprare una pistola.

Quando Knott è arrivato alla cassa, visto che era un truffatore, ha detto a Forti che non aveva soldi perché aveva intuito che intestarsi una pistola che non avrebbe usato era pericoloso. A quel punto si è trovato spiazzato e la pistola l'ha pagata lui. Lì per lì gli aveva detto sì, ma poi ci ha ripensato. E ha fatto usare la carta a Forti in modo che ci fosse un appiglio per ricondurla a lui, Knott è stato furbo.

In quell'occasione Knott si è comprato invece un fucile da caccia e la polizia, subito dopo il fatto, ha eseguito una perquisizione: ha trovato il fucile ma non la pistola, Knott quell'arma a casa non l'ha mai portata. Anche perché sarebbe stata ritirata il giorno dopo. Il commesso, per non avere rotture di scatole, all'epoca disse che non ricordava a chi l'aveva data. Ci sarebbe andato Forti per recuperarla, questo sospetta la polizia.

Io sono in contatto, tramite un mio collaboratore, con Thomas Knott, che ora vive in Germania. Lui sarebbe intenzionato a fare una denuncia per le accuse che sta ricevendo visto che molti dicono che l'assassino è lui. È un truffatore, ma non un assassino.

L'ex moglie di Knott, che aveva rancori nei confronti dell'ex marito, di recente ha dichiarato che non avrebbe un alibi solido la sera dell’omicidio, poiché si sarebbe allontanato per circa due ore dalla festa in cui era. Ma altri testimoni presenti a quella festa hanno dichiarato che Knott si era effettivamente allontanato ma per pochi minuti e dalla sua casa alla scena del crimine ci vogliono almeno 40 minuti in auto.

Accanto al corpo è stata trovata anche una scheda telefonica, successivamente analizzata e da cui è emerso che le ultime chiamate effettuate erano verso il numero di Chico Forti. Ci spiegherebbe questo elemento?

Le chiamate che sono sulla scheda telefonica coincidono con la fase in cui Dale Pike è arrivato in aeroporto e non è riuscito a trovare Forti. Tant'è vero che i due avevano dovuto usare il sistema di avvisi dell'aeroporto. La vittima prima ha fatto vari tentativi di chiamare il telefono di Forti e questa scheda telefonica dopo non è più stata utilizzata, quindi questo è quello che emerge tecnicamente.

C'è anche una telefonata di Forti fatta alla moglie che è stata agganciata a una cella vicino al luogo del ritrovamento del corpo e in un orario prossimo a quello dell'omicidio. Quella telefonata lo colloca sulla scena, è un elemento fortissimo. Cosa che lui ha negato alla polizia e che ha ritrattato dopo che gli agenti gli hanno mostrato le immagini e le schede delle chiamate dell'aeroporto. Solo allora ha confessato.

Quali sono state le spiegazioni che Forti ha fornito agli agenti?

La prima volta che la polizia lo aveva chiamato come testimone, non era ancora indagato, ha detto che, sì, aveva fatto il biglietto a Dale Pike ma che non era andato a prenderlo all'aeroporto. Poi è tornato dalla polizia e ha di nuovo negato di non aver incontrato la vittima. Nel frattempo ha mandato la moglie a lavare la macchina.

Quando è tornato di nuovo e i poliziotti gli hanno mostrato la registrazione delle chiamate che Forti aveva fatto con l'altoparlante dell'aeroporto, nel tentativo di mettersi in contatto con Dale Pike, ha dovuto confessare il fatto che lo aveva effettivamente incontrato e ha dato una seconda versione, ammettendo di averlo solo raggiunto e accompagnato al ristorante ‘Rusty Pelikan', che si trova a poca distanza dal luogo dove è stato trovato il corpo.

Rendendosi conto che il ristorante poteva essere chiuso, ha dato quindi una nuova versione, dicendo di averlo accompagnato al parcheggio del locale, dove Pike sarebbe salito su un'auto bianca e se ne sarebbe andato. Prima però avrebbe chiesto di comprare delle sigarette in un'area di servizio, qui avrebbe ricevuto una telefonata e se ne sarebbe andato.

Quest'area però non si trova vicino alla casa di Forti, è vicino alla scena del crimine. Anche questo elemento, forse il più convincente di tutti, ha portato la giuria a ritenere che c'era qualcosa che non andava.

La polizia ha cercato di ottenere dei riscontri rispetto alle versioni di Forti?

La polizia è andata nell'area di servizio, hanno chiesto i tabulati telefonici, ma gli sono stati consegnati quelli relativi all'anno successivo a quello in cui è avvenuto l'omicidio. Tuttavia, Forti e l'avvocato non hanno nemmeno contestato questa cosa perché sapevano bene che non c'era stata nessuna chiamata in quest'area di servizio.

L'area di servizio si trova a sud dell'aeroporto, mentre casa di Forti, dove sarebbero dovuti andare, si trovava a nord. Se l'area di servizio fosse stata a nord, avrebbe avuto senso dire: ‘Sì, ci siamo fermati lì, poi lui ha detto: ‘No, ho cambiato idea, non andiamo più a casa tua, portami al Rusty Pelikan'. Ma se l'area di servizio era già a sud…

Dale Pike non conosceva nessuno a Miami e non si capisce a chi avrebbe dovuto telefonare. Forti, durante il processo, ha tentato di far passare il delitto come un omicidio a sfondo omosessuale. È evidente che anche sulla scena del crimine c'è stata un'operazione di staging. Ma Pike non era omosessuale, non aveva mai avuto fantasie in tal senso.

Tra l'altro Forti descrive l'uomo che avrebbe caricato Dale Pike in macchina con le caratteristiche più diffuse a Miami. L'auto sarebbe stata una Lexus bianca (ce ne sono tantissime in città) e un uomo con i tratti ‘latini', ispanici, questo ha descritto Forti. Caratteristiche decisamente diffuse.

Forti poco prima aveva girato un documentario sull'omicidio di Gianni Versace e sul successivo suicidio del killer, Andrew Cunanan, dal titolo ‘Il sorriso della medusa‘. Perché se ne parla anche in relazione al caso dell'omicidio di Dale Pike?

La difesa a un certo punto si è resa conto che le prove erano così tante che qualsiasi tribunale avrebbe condannato Forti. Così, la difesa, per giustificare le prove trovate, compresa la sabbia sul gancio di traino dell'auto di Forti, compatibile con la scena del crimine, ha dovuto dire: ‘No, le ha create ad hoc la polizia', è stato detto che Forti era stato incastrato.

Ma una cosa del genere va anche provata. E in questo caso si sono ricordati di questo documentario che negli Stati Uniti però non aveva visto nessuno, non era mai stato proiettato, e conteneva molte ipotesi complottiste.

L'Fbi di recente ha fatto un report, con cui smonta queste tesi, proprio perché Forti non fu l'unico a elaborarle. Ma il documentario che aveva girato metteva in discussione l'operato non tanto del Dipartimento che ha fatto le indagini sull'omicidio di Pike, ma di un altro che non c'entrava nulla e che è anche in competizione con il primo. Sono due cose distinte, come polizia e carabinieri.

Era quindi un'ipotesi inattendibile per questi tre motivi: negli Usa il documentario non era stato visto da nessuno, era stato proiettato in Francia e in Italia; metteva in dubbio un Dipartimento che non ha indagato sul suo caso; in più, sosteneva delle tesi ridicole, soprattutto ai miei occhi che sono del mestiere, vengono dette cose facendole passare come dubbie, anche se dubbi non ce n'erano.

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