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Perché anche il prezzo della birra è destinato ad aumentare nelle prossime settimane

In cima alla lista dei desideri tra i birrai c’è la CO2 in forma liquida, ridotta ai minimi storici dai fornitori, per via degli aumenti del prezzo del gas necessario per produrla. Di Pilato di Unionbirrai avvisa: “Senza CO2 non possiamo soddisfare la domanda”.
Intervista a Pietro Di Pilato
Consigliere dell'associazione Unionbirrai
A cura di Lorenzo Bonuomo
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Foto d'archivio
Foto d'archivio

È allarme CO2 per i produttori di birra. I continui rincari del prezzo del gas hanno ridotto all'osso le forniture di biossido di carbonio in forma liquida per i birrifici, già stritolati dal caro bollette.

Le conseguenze si notano già all'estero come nel Bel Paese: lo scorso 20 settembre, lo stabilimento della Menabrea a Biella è rimasto chiuso per carenza di materia prima.

La Carlsberg* ha annunciato la chiusura di diverse fabbriche in Polonia. In Belgio, invece, il marchio Delirium Tremens, prodotto di punta dello storico birrificio Huyghe Brewery, a Melle, rischia di sparire dagli scaffali dopo oltre cent'anni di attività.

Assobirra, l'associazione dei birrai, ha richiesto al governo di ridurre ulteriormente le aliquote fiscali sulla birra (ad oggi l'unica bevanda da pasto colpita da accise) nel 2023.

Con poca CO2 in forma liquida molti birrifici hanno dovuto ripiegare su quella gassosa venduta in bombole. Soluzione che però, prevede una spesa decisamente maggiore per gli impresari del settore.

Costi di produzione più alti significano prezzi maggiori delle pinte e delle casse nei supermercati con l'inizio del nuovo anno, quando i grandi impresari interverranno sui prezzi di listino.

Di questo ha parlato in un'intervista a Fanpage.it Pietro di Pilato, consigliere ufficiale di "Unionbirrai" e titolare del birrificio "BrewFist" a Cologno (Lodi).

Come si ripercuote il caro prezzi delle materie prime sulla filiera produttiva della birra?

In questa fase di scarsità di materie prime i prezzi sono decollati. Quella che manca ai produttori di birra è l'anidride carbonica in forma liquida, quella che utilizzano in grandi quantità soprattutto i produttori industriali e i birrifici molto grossi come ad esempio il mio. Da fine giugno non la riceviamo più dai nostri fornitori. Per cui la compriamo in forma gassosa con le bombole, che però ci costano in totale 30mila euro. Il triplo rispetto al costo della CO2 in forma liquida. Il problema è che in questa situazione non c'è abbastanza CO2 per soddisfare tutta la domanda.

Quindi il prezzo della birra aumenterà nell'immediato futuro?

No, è ancora presto. Ma il trend è sicuramente al rialzo. Le ricadute di questa scarsità di materie prime si vedranno con l'inizio dell'anno prossimo. Difficilmente infatti i grossi produttori intervengono sul prezzo di listino ad anno in corso. Quello lo stanno già facendo i birrifici più piccoli, che hanno meno risorse per fronteggiare la crisi. L'aumento dei costi di produzione riguarda tutti, perché sono aumentati i costi gas, elettricità e bollette. Se paghiamo cinque volte di più l'energia, chiaramente aumenta il costo dei processi produttivi della birra. E di conseguenza anche il prodotto finale. Se oggi però il consumatore entra in un pub, ordina un bicchiere e lo paga più del solito, probabilmente è perché il gestore di quel locale ha deciso di alzare i prezzi dei beni venduti per far fronte al caro bollette. Loro (i gestori dei locali n.d.r.) intervengono sui prezzi di vendita più velocemente di noi.

Pietro Di Pilato Fonte: BrewFist (Facebook)
Pietro Di Pilato Fonte: BrewFist (Facebook)

Quali sono i marchi che pagheranno le conseguenze più alte della crisi in Italia?

È molto difficile dirlo. Non me la sento di fare nomi. Sicuramente però questa situazione potrebbe mettere fuori dal mercato molti piccoli produttori di birra artigianale. Come ad esempio i piccoli birrifici a conduzione familiare. Loro sono meno attrezzati per reggere l'urto. Ma lo stillicidio dei prezzi riguarderà tutti. Perdita dei posti di lavoro? Quello sarà più un problema per i marchi grossi: loro tendono a intervenire di più sul personale perché hanno centinaia di dipendenti in ogni stabilimento. A me per esempio, che ho 15-20 dipendenti in azienda, ridurre la forza lavoro non mi cambia molto le cose. Vale più o meno la stessa cosa per tutti i produttori artigianali, salvo per questioni di vita o di morte.

Esiste una valida alternativa alla Co2, magari più sostenibile, che non impatti troppo sul gusto e sull'identità dei prodotti?

Sì, si possono anche usare altri gas. Noi, per esempio, stiamo utilizzando l'azoto per determinati processi di lavorazione. Ma soltanto la CO2 ti permette di usare un solo gas per tutte le varie fasi della produzione. Ecco perché è così vantaggiosa. Comunque, anche i processi di estrazione dell'azoto dall'aria rilasciano una gran quantità di anidride carbonica nell'atmosfera. Nel complesso inquina meno della CO2, ma non si tratta di una soluzione totalmente a impatto zero. Si può però investire sui sistemi di recupero della CO2, che viene rilasciata nell'aria dai birrifici durante processi di fermentazione. Fino a pochi anni fa, questi avevano costi molto elevati e in pochi potevano permetterseli. Solo di recente sono diventati accessibili anche per un'azienda come la mia. Recuperare parte della CO2 immessa nell'aria non risolve del tutto il problema della sua reperibilità, sia chiaro. Ma visti i tempi che corrono, buttare grandi quantità di gas serra nell'atmosfera non è una cosa intelligente.

*Riceviamo e pubblichiamo la dichiarazione di Diego Volpi, Supply Chain Director di Carlsberg Italia: “Carlsberg Italia, al momento, non è stata particolarmente impattata dalla carenza di CO2, sia grazie alla rete globale di Carlsberg che è coperta da forti partnership in grado di garantire la fornitura di CO2, sia grazie agli investimenti fatti dall’Azienda nel Birrificio Angelo Poretti a Induno Olona (Varese) che ci permettono di recuperare efficientemente la CO2 prodotta durante la fermentazione”.

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