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Pedopornografia, la storia di una mamma: “Denunciato mio figlio: nel cellulare video abusi su minori”

Una mamma ha raccontato di aver denunciato il figlio 14enne dopo aver scoperto che diffondeva materiale pedopornografico attraverso diverse chat gestite da persone adulte.
A cura di Chiara Ammendola
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È una storia amara quella che Anna, una mamma toscana, ha raccontato a laRepubblica quando ha deciso di aprire gli occhi su quanto accadeva nella vita del figlio appena 14enne. Foto e video pedopornografici ritrovati nel suo cellulare che hanno spinto la donna a rivolgersi alla forze dell'ordine: “Denunciare mio figlio è stata la salvezza per lui e per me – le parole della donna – è stato uno shock trovare immagini pedopornografiche sul suo cellulare. Gli ho subito detto ‘Dobbiamo andare insieme dalla polizia’. E così abbiamo fatto”.

La vicenda risale ormai a quattro anni fa quando Anna scoprì che il figlio, che da poco aveva compiuto 14 anni, era iscritto a diverse chat, sia Telegram che Whatsapp, dove circolavano foto e video pedopornografici: abusi su minori che lo stesso ragazzo diffondeva a sua volta percependolo come "un gioco". La vicenda è emersa grazie a un'altra mamma che, nel controllare il cellulare del figlio, aveva trovato quelle stesse immagini: alle spalle di quelle chat però, come emerso poi dalle indagini della polizia postale, vi erano degli adulti che oltre a diffondere per primi il materiale pedopornografico chiedevano anche foto intime ai ragazzini. “Purtroppo mio figlio le ha inviate pensando di chattare con adolescenti come lui”, le parole di Anna.

Dopo la denuncia alla polizia, sono state avviate le indagini che hanno permesso agli agenti di trovare file gore, video illegali provenienti dal dark web, di suicidi, decapitazioni, mutilazioni. L'iter giudiziario non è ancora finito, ora sarà il giudice a decidere per la messa alla prova del ragazzo così come chiesto dalla procura per i minorenni. Ma Anna non è pentita della sua scelta, continua a crede che sia stata la scelta migliore e lo pensa anche il figlio che la ringrazia a ogni occasione:

“L’ho sostenuto – racconta – sapevo che stava soffrendo e era pieno di rimorsi. Ma sapevamo entrambi che solo andando alla polizia postale avrebbero preso i responsabili”. Ora il loro obiettivo è quello di portare consapevolezza rispetto a questo tema così delicato ma anche così diffuso, nelle scuole: “Perché l’esperienza che abbiamo vissuto sulla nostra pelle possa aiutare gli altri ragazzi. E’ a scuola che trascorrono il 90 per cento della loro giornata, è lì che devono essere organizzati incontri soprattutto con la polizia postale”. E agli altri genitori consiglia di denunciare sempre e di non coprire i propri figli: “Parlate fino allo sfinimento dei pericoli della vita social, anche in modo crudo. Vigilate ma ascoltateli senza minimizzare i loro problemi”.

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